La storia di Tom "Orvoloson" Riddle

Creato interamente da muà!

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  1. -marigno-
     
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    La mia prima fan fiction, siate buoni :ketesta:, creata da me! :muzik:

    La storia di Tom Riddle



    La maganò



    Tutto ebbe inizio in un piccolo paesino nei pressi di Little Hangleton, un paese babbano situato in una vasta campagna, quasi isolato dal mondo.
    Nel paesino regnava con fervore la famiglia Orvoloson, babbana, una famiglia normale.
    Il figlio maggiore, e futuro ereditario, di nome Tom, sedeva sulla dorata sella di un cavallo bianco con a fianco un altro cavallo, che ingroppava una ragazza magra, dai lunghi capelli biondi e con aria nobile. I due si baciavano romanticamente, tenendo strette le brighe dei cavalli per evitare di cadere o di oscillare pericolosamente.
    Il sole era pallido, ma la siccità devastava ovunque, attorno a loro c'erano solo vaste colline pullulanti di grano, cespugli e roghi, senza l'ombra di alberi.
    Ma non erano soli. Nascosta in un cespuglio c'era una ragazza mingherlina e tutta sporca. Guardava i due triste, e ogni tanto puntava il suo sguardo pieno di disprezzo sulla ragazza che baciava Tom.
    Non si sentivano altri rumori oltre il canto sinistro dei corvi, lei era immobile, distesa sul ciglio del viale, ricoperta da cespugli e da grano, intenta ad osservare i due ragazzi.
    -Credo che sia ora di andare, cara-, sussurrò il giovane Tom allontanando il suo labbro da quello della ragazza. -Già, andiamo-.
    I due si misero in cammino verso un sentiero malandato avvolto da roghi e cespugli, mentre la misteriosa ragazza che era rimasta nascosta si alzò lentamente. Strinse gli occhi per mettere a fuoco Tom e la ragazza che cavalcavano i loro destrieri sulla via del ritorno.
    Merope, questo era il suo nome, seguì a piccoli passi i due fidanzati, tenendosi a distanza di sicurezza.
    Incalzava una specie di pantalone rattoppato con stracci sporchi, una tunica di seta molto vecchia e dei sandali di stoffa. Non era affatto una bella ragazza, il viso era così sporco da far venire la nausea e sul labbro c'era una strana cicatrice, e aveva dei capelli unti e sporchi, di un colore nero vivace.
    Merope guardava i due con labbra strette, sulla tasca sinistra pendolava una piccola bacchetta malconcia, e sul collo era appeso un lungo medaglione verde e argento, con il simbolo di un serpente inciso al centro: quel medaglione era appartenuto a niente meno che Salazar Serpeverde.
    Circa cinque minuti dopo si intravedeva il piccolo paese, e il nobile castello appartenente agli Orvoloson sulla collina più alta. Merope era arrivata ad un incrocio, ma non prese la stessa strada di Tom e la ragazza, ma svoltò a destra dove un cartello quasi illeggibile indicava che ad un miglio da la c'era la casa della famiglia Gaunt.
    I Gaunt, era la famiglia a cui apparteneva la giovane Merope, Merope Gaunt.
    Il sole ormai si era fatto vivace e splendente, e l'afa aumentò moltissimo, ma finalmente Merope raggiunse una piccola casetta dentro incastrata in mezzo ad un albero molto grande spezzato in due. sulla porta della casa era inchiodata una vipera morta, i vetri delle finestre erano rotti, e si sentiva un odore davvero sgradevole. Merope si avvicinò alla porta, allungò la propria mano sulla maniglia e... TONF. Di colpo cadde a terra di seguito a una botta sul naso.
    Si alzò stordita e vide un ragazzo attaccato ad un ramo a testa in giù come un pipistrello, aveva un coltello in bocca, ed era vestito tale e quale ad Merope.
    -Sei in ritardo stupida maganò!-, sbraitò il fratello di Merope in una lingua incomprensibile.
    Merope non rispose subito, ma rimase lì a terra guardando il fratello con arri avvilita. Il fratello si limitò a mostrare la fila di denti ingialliti e storti e si distese sul ramo fischiettando.
    Maganò? Perché il fratello l'aveva chiamata maganò? A quanto pareva, una maganò era una strega vera e propria che però avesse la sfortuna di non avere poteri che un mago normale dovrebbe avere. E quindi Merope era una di quelle povere sfortunate.
    -Sono tornata...-, disse Merope a malavoglia varcando la soglia della porta.
    Una figura rozza, bassa, e puzzolente si piazzo dinnanzi a lei.
    -Brutta... Sporca... Maganò! Dov'e sei stata in tutto questo tempo?! PARLA!-, urlò e sbraitò il padre di Merope, arrabbiato.
    Lei chinò il capo e incrociò le mani, assumendo un'aria dispiaciuta. -PARLA!!-, ringhiò minacciosamente, e questa volta sembrava veramente arrabbiato. Ci fu una breve pausa in cui la stette a guardare avvilita -Io lo so!- disse il fratello divertito, dondolando sul ramo che si vedeva fuori dalla finestra.-Dov'è stata?!- tuonò il padre, con un ghigno. -Spia sempre quel babbano! Merope si è innamorata di un babbano! Merope si è innamorata di un babbano!- Canticchiò divertito il fratello, ma evidentemente non era lo stesso per la sorella, che guardava disperata il padre. Il padre si avvicinò alla ragazza con uno sguardo assassino, ed ella lo guardava sconvolta, arretrando, sempre più spaventata. -TU... TU... TU TI SEI INNAMORATA DI UNO SPORCO, IMBECILLE E STUPIDO BABBANO??!!-, Urlò più che mai il padre con gli occhi inniettati di sangue.
    Merope fece per ribattere ma le mani del padre si avvolsero velocemente attorno il collo di ella. -L-lasciami...-, sussurrò senza fiato. -Ti prego!-, aggiunse, ormai viola in faccia. Il padre la lasciò ma con un gesto ancor più rapido del precedente impugnò la bacchetta e urlò -Imperio!-. Dalla bacchetta uscirono due fiamme viola e la figlia si irrigidì all'istante, con aria tranquilla. -Ora...-, disse il padre guardando infuriato la figlia. -Voglio che tu mi dica tutta la verità su ciò che hai visto e fatto-. Per far dire la verità esistevano molti metodi meno crudeli, come il veritaserum, ovvero una pozione che faceva dire tutta la verità senza troppi indugi, o con un incantesimo... Ma sicuramente usare una maledizione senza perdono era una cosa orribile, quasi un crimine.
    La maledizione Imperius, che era una delle maledizioni che non perdonava, faceva fare alla vittima colpita tutto quello che si desiderava: distruggere, uccidersi... Uccidere.
    -I-io... ho lasciato la casa presto ed ho seguito... Ho seguito lui e la sua ragazza, p-perché... perché lo amo...-. Il padre distolse la bacchetta dalla figlia più arrabbiato che mai, e con un movimento a circonferenza di bacchetta, Merope tornò normale, ma cadde a terra esausta.
    -Io avevo ragione! Io avevo ragione! Io avevo ragione!-, canticchiava con voce infantile il fratello, come se quello che era appena accaduto fosse pane quotidiano.

    Fine primo capitolo, spero che vi piaccia! A presto con il secondo.

    :hiii.gif:

    Edited by -marigno- - 28/8/2007, 00:28
     
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  2. -marigno-
     
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    Be cosa ve ne pare? ^^
     
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  3. Soguerrero
     
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    bellooo...ma la madre di voldy..non si kiama merope?
     
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  4. -marigno-
     
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    non mi piaceva il nome, e così ho voluto rifare tutto diverso, così ho dato i miei nomi ^^ ma se non vi va bene glielo cambio =)
     
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  5. ^Chlax^
     
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    specifica che la fanfic è tua anche all'inizio del topic per favore.
     
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  6. -marigno-
     
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    Fatto ;)
     
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  7. -marigno-
     
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    Ecco fatto! ho corretto il nome di Evrea e ribattezzato con Merope (vero nome) che ci sta più bene. E ora il secondo capitolo che ho appena finito! (che fatica!), peccato che non interessi a molti :tristo:

    Un Amore Impossibile



    Il giorno dopo Merope, non provò a seguire il ragazzo dai capelli splendenti, Tom Ridde.
    Il padre e il fratello erano momentaneamente usciti per qualcosa di losco, e sicuramente non era una cosa accettabile. Merope pensava e ripensava che se avrebbe voluto, sarebbe potuta scappare e confessare il suo amore a Tom, ma più ci pensava e più si ricordava il giorno prima, quando suo padre per scoprire la verità lanciò su di essa una maledizione imperius, ovvero la maledizione del controllo su qualsiasi essere vivente. E purtroppo non poteva ne ribattere e ne difendersi, per due motivi: con la maledizione imperius non si può agire con la propria testa, ma con quella di chi ha eseguito la maledizione, e per secondo motivo… lei era una maganò, in altre parole una strega che, anche di sangue magico, puro e non pure che sia, non può evocare alcun sortilegio. Sarebbe come una specie di malato. E dunque senza poteri, e sotto il controllo della maledizione imperius poteva solo subire, e senza fiatare. Per questo la vita di Merope era ingiusta e insignificante, l’unica discendente femmina di uno dei più grandi maghi esistiti al mondo: Salazar Serpeverde. E per i suoi famigliari questo era inaccettabile, come lo era innamorarsi con un babbano, ovvero una persona normale, senza poteri magici. Merope era quasi uguale ad un semplice babbano, ma poteva fare cose che un babbano non ci arrivava neppure con un miracolo: sopravvivere. Anche se Merope era priva di poteri, aveva il sangue magico, e quindi aveva una protezione speciale, sovrumana.
    In cuor suo Merope desiderava tanto sposare Tom, ma un’altra metà della sua anima era piena d’avidità e di disprezzo, come lo era per tutti i discendenti di Salazar, e così ella lottava sempre con se stessa.
    Era ormai sera, e i familiari di Merope ancora non si facevano vedere.
    “Potrebbe essere la mia unica occasione…” pensò malinconica Merope, spolverando senza energia il suo medaglione. “Ma se mi scoprissero di nuovo mi ucciderebbero senza pietà…” ragionò, più demoralizzata che mai, Merope.
    Si fermò per pochi secondi, fissando un vecchio quadro del suo famoso antenato, e fuori dalla porta si sentirono degli strani rumori.
    Un brivido sulla schiena avvertì Merope, e se fosse stato qualche malintenzionato? Merope non sapeva usare la magia, come avrebbe fatto? E se era il ministero in persona? Venuto per arrestare lei e la famiglia?.
    Merope non ebbe molto tempo per porsi le domande, perché al di fuori della casa omai i rumori erano chiari, passi di cavallo, qualcuno stava cavalcando.
    Pensò subito a Tom e sfrecciò vicino ad un angolino della finestra per spiare ma si bloccò di scatto, pensando al padre, e soprattutto cosa le avrebbe fatto se avrebbe scoperto ciò che stava facendo.
    Merope rimase spezzata in due, una parte voleva vedere il misterioso cavalcatore, e l’altra voleva restare ben nascosta. Non aveva molto tempo per pensare, inghiottì la saliva che aveva in bocca e si avvicinò indecisa alla finestra, e al di fuori c’era un bellissimo ragazzo, illuminato dai raggi lunari.
    Tom, il ragazzo che Merope tanto amava, era per la prima volta solo, con l’aria abbattuta, stanca, come un guerriero che è appena stato sconfitto.
    Per la seconda volta la mente di Merope si divise in due: una parte era felicissima di aver davanti l’uomo che amava tantissimo da solo, e l’altra voleva rimanere lì accovacciata a guardarlo, senza interagire.
    Tom sembrava troppo soprappensiero per accorgersi della debole luce provenire dalla strana casa dei Gaunt, dal suo viso scorgevano lacrime, lacrime d’infelicità.
    Merope sbarrò gli occhi per poter vedere meglio il volto infelice di Tom, e pensò subito che aveva litigato pesantemente con la sua ragazza, e questo fece gioire Merope, al sol pensiero.
    Ed ora era la, la sua unica possibilità di parlare a Tom, da soli.
    Per la prima volta Merope si sentì al settimo cielo, e lasciando dietro di se i brutti pensieri del padre, si alzò e con calma, aprì la porta, facendo finta di niente.
    Sui gradini visse subito Tom infelice, e lui gli ricambiò lo sguardo sorpreso, come se fosse comparsa di lì improvvisamente.
    La tensione di Merope salì alle stelle, e per fare l’indifferente riuscì soltanto a stiracchiarsi con uno sbadiglio, mentre sapeva che Tom la guardava scettico.
    -Ehm… m-mi scusi lei da dove è venuta?- disse Tom incredulo.
    –Da casa mia- rispose stupidamente Merope.
    -Scusa quale casa?- Disse ancora più incredulo Tom.
    -Quella alle mie spalle- rispose con un sorriso incerto Merope.
    -Guardi che dietro di lei c’è solo un vecchio tronco ammuffito…- disse ormai spaventato.
    Merope si sentì veramente stupida, come aveva fatto a scordarlo? La sua casa era invisibile agli occhi babbani, e quindi solo lei poteva vederla in quel momento.
    Per evitare un battibecco fuori dal comune Merope inventò una scusa banalissima, ovvero che la sua casa si trovava più in la, ma questo non giustificava come Tom l’aveva vista spuntare all’improvviso vicino a quell’albero, e per spiegare Merope disse che non l’aveva vista, ma lei stava raccogliendo…. Funghi.
    -Ah…- rispose Tom facendo finta di aver capito.
    -Ehm… tu…. Tu hai un nome?- disse Merope che appena finita la domanda si sentì doppiamente stupida, sapeva benissimo che tutti avevano un nome, e sapeva anche quello del ragazzo, Tom.
    -Mi chiamo Tom- rispose il ragazzo divertito, ormai a pieno agio.
    Merope si avvicinò a Tom, e lui scese dal cavallo, e aspettò che Merope parlasse.
    -Io mi chiamo… Merope- disse, vergognandosi ingiustamente del suo nome.
    -Bel nome!- mentì Tom mentre stringeva la mano a Merope.
    -Beh io adesso dovrei andare… è stato un piacere, Merope- disse Tom salendo in sella al cavallo.
    -No aspetta!- bisbigliò Merope, e a quelle parole Tom si voltò e la guardò.
    -Io… io volevo chiederti se ti va di vederci…. Beh, domani a mezzogiorno, sulla riva del lago!- disse incerta Merope, che appena pronunciata la frase avrebbe dato qualunque cosa per non essere mai uscita.
    -Ehm…io, io non posso mi dispiace, non avremmo neanche dovuto incontrarci- disse dolcemente Tom.
    A quelle parole Merope chinò il capo, dispiaciuta, con aria afflitta.
    -Mi dispiace…- aggiunse Tom vedendo Merope.
    Tom riprese le brighe del cavallo e risalì il viale verso la sua dimora.
    -N-no aspetta! Ti prego!!- urlò Merope ormai ostinata al rivedere sola Tom.
    Tom si girò, paziente, guardando Merope in attesa che parlasse.
    -C-ci rivedremo di nuovo- disse Merope mentre una lacrima gli scendeva cautamente sul viso.
    Tom non rispose subito, ma pensò, fissando le lacrime sul volto di Merope.
    -Mi spiace…- aggiunse impaziente, ma allo stesso tempo dispiaciuto. –Noi non possiamo incontrarci… mai più!- e iniziò a cavalcare il suo cavallo con una destrezza impressionante.
    Merope si inchinò per terra, ormai singhiozzante, persa nei suoi infelici pensieri.
     
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  8. milla92
     
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    Bravissimo!!!!!Mi piace molto questa ff!!Peccato per Merope pero!!Continua presto!!!
     
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  9. -marigno-
     
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    Grazie mille! ^^ presto faccio il 3° capitolo, per ora mi prendo una pausa, ma domani lo posto ^^

    byez!!
     
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  10. synoa xx90
     
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    bella qusta ff!!! non so dove vuoi arrivare con la storia di tom ma l'inzio è promettente!

    continua presto!
     
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  11. -marigno-
     
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    Rimarrete scioccati da come andrà a svolgersi *_* sono a buon punto ^^ ancora due giorni e dovrei finire ^^
     
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  12. -marigno-
     
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    Ed ecco il terzo capitolo, mi raccomando commentate, :ketesta: :ketesta: non ho neanche avuto il tempo di rileggerlo, ma spero vi piaccia comunque! :hiii.gif:

    Un Assassinio incerto



    La mattina dopo Merope si svegliò di buon umore, ma purtroppo nulla gli poteva distogliere il pensiero della sera scorsa, quando aveva parlato da sola con Tom Riddle.
    Si alzò a malincuore dal suo letto di legno frastagliato, e incalzò le sue ciabatte di lana, candide e calde, ma subito si risedette.
    Rimase ad assaporare quel momento di pace e di tranquillità per un minuto, ferma, immobile.
    Ma non poté che pensare a Tom, il ragazzo che amava più d’ogni altra cosa, e che avrebbe dato qualunque cosa per essere ricambiata.
    E nonostante quella splendida mattina Merope s’incupì nuovamente, a causa del ragazzo dalla chioma irresistibile.
    Dopo quest’ultimo infelice pensiero si alzò e attraversò la porta della sua piccola, e umida stanza per andare a svegliare i familiari come faceva di solito.
    Ma restò confusa, e allo stesso tempo felice trovando il letto del padre vuoto, ancora aggiustato.
    “Ma dove sono finiti?” pensò curiosa Merope. Ormai non vedeva i familiari da ieri mattina, che si fossero messi davvero in guai con la legge?.
    Merope si svestì e si mise qualcosa di normale (almeno secondo lei) per andare a lavorare nei campi dei Riddle, come faceva ogni domenica per guadagnare qualche soldo, cosa che i familiari ritenevano disprezzante.
    Si mise gli stivali di pezza ed uscì dalla porta di casa lasciando il solito biglietto, su cui sopra c’era scritta una semplice “X” e basta. Questo perché Merope non sapeva né leggere e ne scrivere, cosa che avrebbe dovuto imparare dai genitori, ma i genitori erano peggio di lei, o almeno lo era il padre, analfabeta e per questo, quando qualcuno doveva uscire per fare qualunque cosa si lasciava un bigliettino con su scritta la “X”.
    Merope prese il vialetto verso nord e si addentrò nella fitta foresta, più secca del solito.
    Ci mise circa mezz’ora per raggiungere un gran capanno di legna, seguito da una stalla alla sua destra.
    La ragazza si avvicinò al cancello e diede una distratta occhiata ad un cartello che faceva: Proprietà Riddle, entrò e avanzò a passi lunghi e rapidi, guardando dritta il portone del gran capanno, bussò.

    Toc Toc.

    Non ricevette risposta.

    Toc Toc.

    Nessuna risposta, si allontanò dal portone e osservò l’oblio di vetro in alto, sperando che qualcuno si affacciasse, ma niente.
    Sbruffando si riavvicinò al portone e stavolta bussò talmente forte, che il portone si spalancò.
    “Era aperta…” pensò distrattamente Merope.
    Di solito quando entrava riceveva subito degli ordini dalla vecchia megera: la nonna di Tom Riddle, vecchia contadina di talento, e famosa erborista.
    Niente… il capanno era desolato, sembrava quasi abbandonato, ma Merope non si diede per vinta, e attraversò un secondo portone nuovamente aperto per avviarsi verso la stalla.
    Ma rimase ancora più stupita, confusa, disorientata.
    Non c’era rimasto un solo animale, niente di niente, tutto vuoto come se il capanno fosse stato solo costruito senza usufruirne, Merope iniziò veramente a preoccuparsi e si guardò in giro, perplessa.
    -Signora Riddle! Signore Riddle ci siete? Signora?!- urlò con i palmi delle mani appoggiate all’estremità della bocca.
    Neanche una parola, a Merope scappò una smorfia infastidita, per poi attraversare un terzo portone che portava al recinto esterno, dove solitamente venivano sgozzati i maiali.
    Attraversò il portone, si girò subito per socchiuderlo e virò il capo in avanti.
    -AAAAAAAAH!!- un grido uscì dalla bocca di Merope mentre posava le sue mani sulla bocca, con uno sguardo serrato, impaurito.
    Davanti a lei giaceva il corpo sanguinante della signora Riddle, aveva la testa completamente maciullata, e a fianco il suo corpo morto era appoggiata un’accetta insanguinata, probabilmente l’arma del delitto.
    -oh… mio… dio…- questo continuava a dirsi fra se e se Merope, ancora scioccata dall’orribile visione.
    Si avvicinò a passi insicuri al corpo della povera signora Riddle, s’inginocchio affianco ad essa e gli tastò il polso, come le aveva insegnato un suo lontano parente.
    -Morta…- sussurrò esterrefatta Merope, a bocca aperta, si avvicinò sempre di più al corpo della signora Riddle, per vedere quello che ne restava della testa, e come prevedeva la visione non fu affatto angelica, al contrario, fu demoniaca.
    Merope fece per scappare ma venne attirata da uno strano luccichio vicino all’ascia, si avvicinò rapidamente e nelle sue mani prese un orologio vecchio stile d’oro…
    -No… no… NO!!!!- gemette Merope che si ricoprì la bocca con le mani ancora più impaurita e capì che quell’orologio apparteneva ad una persona da lei conosciuta, che lodava, che ammirava… che amava.
    Si, quell’orologio apparteneva a Tom Riddle, e nella mente di Merope balenò un’immagine di come potrebbe essere stata uccisa la povera signora Riddle, ma non riusciva a crederci, non poteva credere che… “Ma certo!” Esclamò nella sua mente, “quella… quella notte che era… era strano, lui aveva, aveva ucciso sua nonna! Ecco perché era così impaurito e strano… lui ha ucciso sua nonna!”.
    Queste parole tuonavano strane nella mente di Merope, per lei tutto questo era assurdo, all’improvviso una sera riesce a parlare da sola con il suo amore, anche se Tom non amava passeggiare da quelle pari. E la mattina dopo non trova i suoi familiari, va per lavorare e trova la nonna di Tom uccisa, macellata senza scrupoli con un’accetta, e poi cosa trova? L’orologio di Tom, vicino alla scena del delitto.
    Merope s’impaurì a tal punto che si allontanò a piccoli passi all’indietro, fece metà strada arretrando e poi presa dal panico si voltò e corse con tutta la forza che aveva, con l’orologio di Tom ancora in mano.
    -Di qua presto!- urlò qualcuno evidentemente preoccupato fuori dal portone della stalla dove ora stava Merope.
    Il cuore di Merope iniziò a battere forte, sempre più forte e iniziò a sudare all’istante, si appoggiò con le mani sulla parete, pronta a scattare, a correre, come una lepre.
    -Si muova signor Riddle, presto!- la stessa voce risuonò ormai alla soglia della porta, Merope ebbe la geniale idea di nascondersi dentro un pagliaio a sua volta nascosto da un recinto di legno.
    -Di qua!- urlò nuovamente uno strano signore vestito con giacca e cravatta di qualità, con una valigetta in mano. Subito dopo di lui attraversò la porta un uomo agghiacciante, altissimo e imponente, con dei capelli grigi molto lunghi, che arrivavano all’inizio del bacino, anch’esso vestito di tutto punto.
    Entrambi col fiatone e con faccia preoccupata attraversarono il portone dove pochi istanti fa Merope aveva attraversato per scappare.
    -Diamine che atrocità!- urlò l’uomo agghiacciante fermandosi di colpo a due metri di distanza dal corpo della parente. –C-come l’hai scoperto? Quando… quando è successo dottore?!- riprese l’uomo.
    -L’ho scoperta stamane molto presto, ero venuto per pagare il latte di una settimana fa, e ho trovato la signora… beh… già…- ma venne interrotto dall’uomo alto, che s’inginocchio affianco al corpo della parente defunta con occhi lacrimanti. –C’era… c’era qualcuno?- disse con un filo di voce cercando di mascherare il suo dolore.
    -No signor Riddle, a parte al suo corpo nessuno…- disse desolato il medico.
    -C’era qualcosa vicino oltre a quest’ascia..?- disse il signor Riddle con lo stesso tono di voce di prima. Il medico fece un lungo sospiro e rispose –No… signore… sono desolato…-.
    -Non sa quanto lo sono io…- rispose ormai lacrimante, Merope intanto osservava la scena ben nascosta, e gli scappò un gemito quando ricordò di avere in mano l’orologio di Tom.
    Era in un buco nero, confessava tutto e dava l’orologio o proteggeva Tom e restava in incognito?
    La ragazza in questo momento avrebbe voluto trovarsi al sicuro in casa più che mai.
    Voleva dare l’orologio, ma non voleva immischiarsi per fare danni, e quindi voleva rimanere nascosta, immobile, in silenzio.
    All’improvviso un’idea balenò a Merope, anche se rischiosa e incerta era l’unica cosa, giusta, da fare… usare la magia.
    Occasionalmente Merope con la sua bacchetta riuscì a compiere qualche magia, ma di rado, e quella era una soluzione in cui secondo lei non l’avrebbe mai fatta, ma doveva provare, doveva usare tutta la sua forza d’animo per compiere la magia della levitazione: Wingardium Leviosa.
    I due signori erano accovacciati sul defunto corpo della signora Riddle, e la stavano riempiendo avvolgendo in un sacco a pelo, per tenerla il migliore possibile.
    Merope estrasse la sua bacchetta… -Forza portiamola dentro…- disse il signor Riddle imbracciando la parte inferiore del sacco a pelo. Merope mise l’orologio per terra e puntò la bacchetta su di esso, con mano tremante. –Si okey, facciamo presto, non vorrei dare nell’occhio- rispose affannando il medico. “Wingardium Leviosa!”.
    Per un attimo Merope chiuse gli occhi, impaurita, ma aprendoli notò con suo compiacimento che l’orologio levitava, a fatica ma levitava. “C’è l’ho fatta!” pensò felicemente la ragazza. Ora bastava metterlo vicino ad uno dei due. Spostò la bacchetta concentrandosi al massimo, mentre l’orologio si spostava sotto suo comandamento. C’e l’aveva quasi fatta, poteva lanciarlo in aria o lasciarlo per terra ma con suo dispiacere gli sfuggì al controllo e finì sul petto del medico che cadde a terra.
    Merope subito ne approfittò e si mise a correre con più energia poteva, mentre si lasciava alle spalle una citazione del medico “E questo da dove salta fuori?” e poi sentì chiaro e forte urlare il signor Riddle –TOOOM!-.

    Com'è? com'è? vi prego commenti ^^
     
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  13. milla92
     
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    Dio, bravissimo, mi piace un sacco, complimenti!!!!!La scena dell'omicidio è fantastica!!!!
     
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  14. -marigno-
     
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    Grazie mille sei un tesoro :ketesta: :ketesta:
     
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  15. Luccy
     
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    bella!!!E' fatta molto bene e mi piace come si sono svolti i fatti.Continua presto!^^
     
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50 replies since 24/12/2006, 21:01   777 views
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