Harry potter e l'anima spezzata

6° anno, H, R, Hr, G, D, Voldy, nuovi personaggi

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  1. Luisina
     
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    senti non è che puoi commentare la mia ff ? perchè è da una sacco che ho pastato il nuovo capitlo e non c'è anima viva
     
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  2. ioida
     
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    8°. Il gioco della bottiglia.


    La campana rintoccò dodici volte.
    Era stanco morto, ma almeno non aveva fatto tardi come la domenica precedente.
    Aveva la schiena a pezzi, Gloria non era una che si risparmiava durante un duello, anche se simulato.
    Non vedeva l’ora di abbracciare il suo cuscino!
    In quella settimana era sempre andato a dormire tardi.
    Gli danzavano per la mente i nomi dei vari ingredienti come strane filastrocche: sabbia argentea, bacche rosse di Agnolia, acqua fresca e pura, radici secche di Freta…
    Lei diceva le proprietà e lui doveva dire a quale ingrediente corrispondevano o viceversa.
    Ne aveva il quaderno pieno, glieli aveva fatti scrivere tutti su quel coso brutto di Sailor Moon.
    “Radici di purcozza!” una volta gli chiese mentre ripeteva, con successo, tutte le proprietà.
    Faceva avanti e indietro per l’aula, ma si era fermato a guardala disperato. Non ne aveva idea!
    “Stavo scherzando! Non esiste!” disse infine lei ridendosela.
    Aveva detto che con gli ingredienti avrebbero finito la settimana successiva, poi sarebbero passati alle pozioni vere e proprie.
    Invece, difesa contro le arti oscure, avevano iniziato quel sabato.
    Tutta la giornata sui libri! Harry, alla fine, si era alzato barcollante dalla sedia.
    Quella giornata era stata più piacevole, aveva fatto pratica, ma era stata anche più sfinente.
    Ron ed Hermione li vedeva solo a lezione ed a pranzo, perché tutti i pomeriggi fino a tardi e la cena, li passava con Gloria.
    Silente ed Hermione avevano ragione, lei era la persona migliore per fargli recuperare pozioni, era severa ma piacevole, le ore scorrevano lavorando.
    Si chiese quanto avrebbe retto con quel ritmo!
    L’unica cosa positiva era che riusciva a finire i compiti in poco tempo e faticando la metà.
    Attraversò il lungo corridoio buoi che portava al ritratto della signora grassa, si tolse il mantello dell’invisibilità, disse la password ed entrò nella sala comune.
    Il fuoco nel camino era ancora acceso e, nelle poltrone vicine, c’era qualcuno che rideva e parlottava.
    «Harry!» Ginny emerse dalla poltrona e altri quattro ragazzi si voltarono verso di lui.
    «Che fai a quest’ora in giro?»
    «Stavo studiando. Sono stanco morto!»
    Ginny gli si avvicinò, gli prese la mano e lo trascinò, senza troppa resistenza da parte di lui, vicino agli altri, e si abbandonò sulla poltrona vermiglia.
    «Voi piuttosto, che ci fate ancora alzati?» disse lui sedendole di fronte.
    Riconobbe Colin Canon, un ragazzo del settimo anno di cui non si ricordava il nome, e le compagne di anno di Ginny, che in tutta sincerità, gli erano parse sempre un po’ oche.
    Erano seduti, chi sul tappeto, chi sul divano e, al centro per terra, c’era una bottiglia di vetro con una strana etichetta colorata.
    «Giochiamo al gioco della bottiglia!» disse una delle due amiche di Ginny guardandolo maliziosa.
    Harry si ricordava quel gioco.
    Alle elementari le bambine si riunivano e speravano di poter baciare uno dei loro compagni di cui erano innamorate o di poter scompigliare i capelli alle compagne indisturbate.
    «Gioca anche tu!» lo invitò Ginny girando la bottiglia. «È un nuovo prodotto di Fred e George. Mi spediscono sempre l’anteprima!»
    Bene! C’era poco da fidarsi allora, pensò Harry, affondando ancora di più nella poltrona.
    La bottiglia vorticò e si fermò su Colin. La strana etichetta lampeggiò e comparve la scritta “Paragone!”. Il ragazzo girò nuovamente la bottiglia e questa volta si fermò sulla ragazzina dai capelli neri che gli aveva parlato prima.
    Colin sorrise perfido.
    «Tra Roger Davies e Zacharias Smith.»
    «Mmm… Zacharias!»
    «Ma Cloe! Quell’idiota?» fece Ginny arricciando il naso. L’altra alzò le spalle e la guardò offesa.
    «Sono gusti!»
    La bottiglia girò ancora, questa volta fermandosi sul ragazzo del settimo anno. Sull’etichetta brillò una scritta rosa: “Verità…”.
    Girò la bottiglia, che vorticò sul pavimento per qualche secondo e si fermò su Harry. Lui non si scompose, alzò semplicemente gli occhi sul ragazzo.
    Questo lo guardò per qualche attimo riflettendo sul da farsi.
    «Allora, Cormac! Che fai, ti muovi?» disse Cloe.
    «Quindi…. È vero quello che si dice?» disse Cormac scrutandolo.
    A Harry salì il cuore in gola. Gli vennero in mente i vari articoli che, quasi tutti i giorni, parlavano di lui, della profezia e della questione del “Prescelto”.
    «È vero che stai con quella di serpeverde… come si chiama? Victoria, se non sbaglio…» continuò passandosi un dito sul mento pensieroso, cercando di ricordare.
    A Harry, non ci volle molto per capire che faceva finta di non saperne nulla e che invece sapeva benissimo come si chiamava “quella di serpeverde”.
    «No, non è vero niente.»
    «Ma fino a quest’ora dove sei stato?» chiese repentino, non contento della risposta ricevuta.
    «A studiare.»
    «A me non sembra che, gli altri ragazzi del sesto anno, studino fino a quest’ora e fuori dalla torre di grifondoro.» disse presuntuoso.
    Harry lo guardò con odio. Voleva dimostrare di avere ragione nonostante la sua stessa parola.
    Cormac sostenne lo sguardo dimostrando di non avere alcun dubbio.
    «Ok! Adesso basta Cormac, se dice di no, è no! E poi nel gioco non può mentire.» intervenne Ginny fulminandolo con lo sguardo.
    «Può essere che i tuoi fratelli non lo abbiano collaudato prima di spedirlo!»
    «Se non ti sta bene, puoi anche andartene! Gira la bottiglia Harry!» gli disse lei secca.
    Lui fece, e questa dopo due o tre giri si fermò sull’altra compagna di Ginny. Questa volta però non apparve una scritta ma un disegno. Una testa con tutti i capelli per aria e di colori assurdi.
    «Naomi alla riscossa!» disse la ragazza contenta girando forte la bottiglia. Si fermò su Colin che sbuffò rassegnato.
    «Niente repliche Canon. Sei tutto mio!» questa si alzò, gli puntò la bacchetta alla testa e…
    «Accapiglia!»
    I capelli di Colin si allungarono in modo irregolare, fino a farlo sembrare un rocchettaro con i capelli tagliati da un barbiere ubriaco. Da color topo si passò ad una sfumatura che andava dal blu elettrico al verde acido.
    Tutti risero, e anche Harry, nonostante la stanchezza, mentre Colin si imbronciava sempre più.
    La bottiglia riprese a girare e si fermò su Ginny. Sull’etichetta comparve un’immagine su uno sfondo rosso: due figurine che si baciavano.
    «Ah! Bacio rosso!» disse Cloe puntandole il dito contro ridendo con malizia. Ginny alzò gli occhi al cielo e sorrise a sua volta girando la bottiglia.
    Uno, due, tre giri… Harry per un momento si immaginò, che per qualche caso, si fermasse proprio indicando lui, ma caccio questa fantasia dalla testa. Quella era Ginny, la sorella di Ron!
    La bottiglia iniziò a rallentare.
    Quarto giro, quinto.
    Lenta indicò Ginny, Colin, Cormar… Harry.
    Strabuzzò gli occhi. Non poteva essere, non poteva permettere una cosa del genere.
    «Ah, che scemenza!» disse Harry alzandosi per andarsene a letto.
    «Che fai? Non puoi tirarti indietro!» fece Naomi in tono grave.
    «Ti verranno dei bubboni su tutto il viso e la schiena! Sono le regole del gioco!»
    E come poteva essere diversamente? Quella era opera di Fred e George, pensò, ma non poteva baciare la loro sorella.
    E poi era strano… la guardò sospettoso. Qui c’era qualcosa sotto!
    «Ginny sei sicura che te lo abbiano mandato i tuoi fratelli?»
    «Certo, mi stavano mandano quello “rivisitato” da loro, ma ho convinto Lorelai a mandarmi quello normale!»
    Ginny era furba, più di quanto i fratelli credessero, e su questo lei giocava a suo vantaggio.
    «Bacio!» richiese Cloe sorridendo.
    Harry sbuffò e si accasciò rassegnato sulla poltrona. Ginny gli si avvicinò disinvolta. Si sedette per terra e puntò i gomiti, viso tra le mani, sulle ginocchia di Harry, come affacciata alla finestra in attesa.
    Harry guadò prima lei e poi le scale che portavano al dormitorio maschile, dove, sicuramente, da li a poco sarebbe sceso Ron per ammazzarlo.
    Guardò nuovamente lei, sin troppo vicina per i suoi nervi, che alzò un sopracciglio indispettita.
    «Ma stai scherzando vero?» chiese mentre un groppo gli stringeva lo stomaco al solo pensiero di baciarla. Lei si ritrasse offesa.
    «La smetti di preoccuparti di mio fratello?»
    Lo prese per la collottola della camicia, lo tirò a se e lo baciò senza mezzi termini, troppo stanco e sorpreso per poter reagire.
    Via la stanchezza, via Ron!
    Sentiva solo le sue labbra calde premute contro le proprie e l’intraprendenza di lei approfondier il bacio.
    Improvvisamente tutto finì. Rimasero i suoi occhi scuri che lo scrutavano accesi e brillanti alla luce del camino, il viso rotondo e lentigginoso ed i capelli rossi ad incorniciarlo.
    La abbracciò abbandonandosi all’istinto, stringendola forte e la baciò nuovamente, prendendole le labbra come incantato dal loro sapore e calore.
    Quando si staccò non sapeva quanto tempo era trascorso, vedeva solo lei, che lo abbracciava stretto, Ginny!
    Ginny e…
    Si staccò di colpo allontanandola. Il cuore saltò un battito.
    Quella era Ginny!
    La guardò stralunato. Ma che diamine gli era preso? Baciare la sorella di Ron!
    Doveva andare via.
    Lei lo guardava scombussolata, gli altri ridevano e facevano battute di apprezzamento e di approvazione.
    Scattò in piedi e corse nel suo dormitorio.
    Aveva tradito un amico, anzi, l’Amico!
    Come avrebbe fatto a dirglielo, o a non digli niente e fare finta di nulla e trovare il coraggio di guardarlo ancora negli occhi?
    Eppure Ginny continuava a danzargli davanti gli occhi, presuntosa e bella come una fiamma.
    No, non poteva andare avanti così, doveva levarsela dalla testa.
    Era entrato nel dormitorio trafelato e scombussolato, gettando sul suo letto il mantello dell’invisibilità.
    Si girava intorno senza sapere il perché e guardava nel buio senza trovare una soluzione.
    Ron. Proprio Ron! Proprio Ginny!
    Che casino che aveva combinato.
    Si passò le mani tra i capelli imponendosi di calmarsi, di convincersi di non aver fatto nulla di male. Non c’era niente di male nel baciare Ginny, non c’era niente di male nell’immaginare di baciarla, di accarezzarla, di… Harry si sentì avvampare.
    «Gnogno uh!»
    Un mugugno sommesso gli fece gelare il sangue nelle vene.
    Ron si mosse lentamente nel letto e il cuore di Harry corse all’impazzata.
    Doveva parlarne con qualcuno o sarebbe impazzito.
    Hermione, dov’era quando serviva? Si ritrovò a pensare disperato.
    Si alzò dal letto deciso, ma rimase fermo in piedi ad aspettare.
    Non poteva raggiungerla, era nel dormitorio femminile, e poi avrebbe dovuto attraversare la sala comune, dove, con molta probabilità c’era ancora Ginny.
    Guardò il mantello dell’invisibilità, poi Ron che dormiva tranquillo.
    Prese una decisione.
    Aprì il baule e prese la mappa del malandrino, afferrò il mantello dell’invisibilità e usci dal dormitorio.
    Nella testa gli balenava quel nome:
    “Corte oscura!”
    “Come scusa?” gli aveva chiesto il giorno prima, mentre leggeva “Arte della magia nera”.
    “È la password per entrare nella sala comune di serpeverde”
    Harry era lì per lì per non credere alle proprie orecchie.
    Dopo tutto, non gli sembrava giusto nei confronti degli altri serpeverde che Gloria gli dicesse la parola d’ordine della casa.
    “Se avrai bisogno di me per qualche chiarimento o altro potrai raggiungermi senza problemi! Si trova nei sotterranei, quando scendiamo a cena ti mostro la strada!”
    E quello, pensò rendendosi invisibile e scendendo le scale, era un momento di bisogno, ed aveva bisogno di chiarirsi le idee!
    Erano ancora nella sala comune. Ginny sembrava parecchio offesa, e gli dispiacque molto. Come poteva farsi perdonare?
    Mentre usciva dal ritratto sentì Cormac dire:
    «È come dicevo io! Potter sta con quella, altrimenti perché sarebbe scappato così dopo averla baciata?!»
    Non gli diede peso.
    Iniziò a scendere due, tre piani, poi si fermò davanti una statua che gli sembrò particolarmente brutta.
    Aveva una strana sensazione, come di pericolo.
    Si guardò intorno circospetto ed aprì la mappa per vedere se c’era qualcuno nei paraggi. Niente nel suo piano almeno, invece un piano più sotto c’era la gatta malefica di Gazza.
    Cercò il puntino con scritto il nome di Gloria nei sotterranei, ma non lo trovò.
    Ricontrollò più volte e decise di controllare nell’aula dove avevano lavorato fino a poco tempo prima, pensando che, molto probabilmente, si fosse dimenticata qualcosa e fosse tornata indietro.
    Nulla anche lì.
    Controllò tutti i corridoi e le aule, preso più dalla curiosità di sapere che cosa stava combinando che dal bisogno di parlare con qualcuno.
    La trovò, in biblioteca, nella sezione proibita!
    La raggiunse in poco tempo, era al piano di sotto.
    Non sapeva perché, ma aveva il batticuore, cose se ci fosse qualcosa di strano nella notte in sé. Entrò senza fare rumore ed attraversò la sala buia fino al cancello socchiuso della sezione proibita, dalla quale proveniva una luce perlacea e flebile. La luce di una bacchetta.
    La vide seduta per terra, circondata da libri, una figura pallida e sola.
    Leggeva un grosso tomo.
    La osservò per un tempo indefinito incerto sul da farsi.
    Il libro che gli aveva fatto prendere insieme ai libri di testo, “L’arte della magia nera” era un ottimo libro che mostrava gli orrori e la potenza della magia oscura, non la magia oscura in sé e come si usava.
    E di certo, il libro che adesso era sotto l’attenta analisi di Gloria non era di quello stampo.
    Quello era un libro di magia nera, non vi erano dubbi, anzi, c’erano, ma nei confronti della ragazza. «Quando avrai finito di fissarmi Harry, dimmelo, che la cosa dà non poco fastidio!» la voce di Gloria sembro sfracellare il silenzio come una lastra di vetro.
    Harry trattenne il fiato.
    Si era accorta di lui, ma come? Gli venne un dubbio, forse il mantello gli lasciava i piedi scoperti. Si chinò per guardasi, ma erano a posto.
    «Harry!» lo richiamò impaziente la ragazza che stava iniziando ad innervosirsi.
    Il ragazzo non sapendo cosa fare, essendo la prima volta che gli capitava di venire scoperto sotto il mantello (solo Piton si era accorto qualche volta di una presenza, ma addirittura sapere chi c’era sotto!) disse disperato:
    «Non sono qui! Non sono Harry!» gli scappò detto senza rendersene conto e, mentre lo diceva, si rendeva sempre più conto della sua grande idiozia.
    Due, tre secondi di silenzio e poi…
    «AH AH!!!! AH AH AH!!!!!!! » Gloria era scoppiata a ridere anche se dopo un po’ cercò di soffocare le risate ficcandosi la cravatta in bocca per non attirare Gazza.
    «Come hai fatto?» si tolse il mantello seccato ed entrò nella sezione proibita spingendo il cancello da parte per passare.
    «Hai il respiro pesante!» disse lei scoccandogli un’occhiataccia.
    «Si può spere che fai? Perché mi hai seguito, ti piace così tanto giocare al detective?»
    «Io non ti ho seguito, avevo bisogno di parlarti!» gli disse offeso dalle accuse da lei mosse. Incrociò le braccia al petto e decise di risponderle per le rime.
    «Piuttosto tu che ci fai nella sezione proibita? Che cosa stai leggendo?»
    «Cose che non ti riguardano! Che problemi hai?» tagliò corto scontrosa.
    «A te, di certo, non lo vengo a dire! Mi dai la tua disponibilità e poi mi tratti così, e mi accusi di essere un ficcanaso!»
    Gloria alzò lo sguardo su di lui lentamente. Ricambiò lo sguardo, riflessivo e corrucciato. C’era qualcosa che non andava.
    «Se non eri tu che mi pedinavi, allora…»
    «Qualcuno ti pedinava?» Harry si allarmò, non aveva visto nessuno in giro sulla mappa, eppure...
    Di nuovo quella sensazione tornò e molto più potente di prima. Improvvisamente il buio sembrò farsi più pesante.
    Forse si era sbagliata, pensò, forse mi sbaglio!
    «Sei sicura?» chiese.
    Lei non rispose, continuava a fissarlo come prima, poi chiuse il libro di scatto, si alzò e lo posò al suo posto.
    «Si, certo! Andiamo, neanche Hogwarts è sicura di notte!» disse.
    Harry notò che era allarmata, l’espressione sul suo volto era molto tesa, ma era determinata a tenere sotto il suo controllo la situazione.
    «Ti riaccompagno al tuo dormitorio.» gli disse in tono autoritario uscendo dalla sezione proibita.
    «Perché?»
    «Se ti accade qualcosa, sarò io la diretta responsabile.»
    Gli fece cenno di seguirla.
    Harry uscì e richiuse il cancello e lo scatto della serratura rimbombò tetro nella grande sala.
    Gloria attraversò la biblioteca a grandi passi e cercò di raggiungerla. Avvertiva che c’era qualcosa che non andava, c’era troppo buio, si sentiva schiacciare da quella oscurità.
    Guardò le alte vetrate.
    Quella era una notte nera. Una notte senza luna.
    Si misero sotto il mantello e uscirono di fretta.
    «Che cosa volevi dirmi?» chiese quando furono nel corridoio.
    «Ho baciato Ginny!»
    «Questa non è una domanda, è un’affermazione!»
    «Ho baciato la sorella del mio migliore amico!» disse pensando che chiunque a quel punto avrebbe capito la tragicità della situazione.
    «E io che pensavo che ti fossi messo a leggere “Dalla parte mia” o qualche altro libro e fossi venuto per qualche chiarimento!»
    «Si, speraci! Piuttosto che cavolo ci facevi lì dentro?»
    «Studiavo, Harry!» disse alzando gli occhi al cielo.
    Avvertì il suo sguardo sospettoso addosso e continuò spazientita:
    «Studio magia nera da quando sono ad Hogwarts, ma solo per puro spirito di conoscenza! Mi da fastidio che mi sia preclusa qualcosa…»
    Harry si fermò di colpo, costringendola a sua volta a fermarsi scrutandola attraverso la densa tenebra.
    «Harry, non mi sembra il momento questo! Dobbiamo andare!»
    Aveva mille problemi per la testa e una sensazione bruttissima che sembrava pesargli sul collo, ma le ignorò per il momento.
    «Studi magia nera, ed è ignobile di per sé! Non ci sono scusanti né attenuanti!»
    «Secondo te, avrei potuto studiare così, ogni notte, proprio sotto il naso di Silente per tutti questi anni, se lui fosse stato contrario?»
    Harry la guardò scettico. Gloria lo scosse per il braccio.
    «Andiamo!»
    «Se qualcuno ti seguiva, perché riaccompagni me? Non sarebbe più sicuro se ti accompagnassi io?» «Non se ne parla. Devo portarti sano e salvo al dormitorio!»
    «E invece no! Ti accompagno.» disse fermo.
    «Me la so cavare benissimo da sola. Muoviamoci adesso!»
    Harry contrariato rispese a camminare.
    Arrivarono davanti al ritratto della signora grassa.
    Non poteva certo lasciarle attraversare tutto il castello da sola, aveva intenzione di seguirla o comunque di controllala da lontano fino a che non fosse arrivata. Lei uscì da sotto il mantello.
    «Non me ne vado finché non entri.» gli disse come se avesse intuito le sue intenzioni.
    «Dai!» protestò.
    Si guardò intorno. Quella notte lo inquietava troppo. Ogni volta che scrutava nell’oscuità gli sembra che stesse per emergere qualcosa, ma era solo una sua fantasia….
    Lei lo fulminò con lo sguardo anche se non lo vedeva.
    Lui sbuffò. Poi prese una decisione avventata.
    «Glossoni caramellosi» il ritratto si aprì. La afferrò per un braccio e la spinse dentro con sé.
    «Ma che fai? Sei scemo?» chiese Gloria ritrovandosi dentro la sala comune di grifondoro contro la propria volontà.
    Harry si tolse il mantello, per fortuna non c’era più nessuno.
    «Così non dovrai arrivare fin là sotto da sola!»
    «La conosco la strada!» disse dirigendosi verso il ritratto per andarsene. Harry la afferrò per il braccio.
    «Se te ne vai, ti riaccompagno!»
    «Ma secondo te cosa dovrei fare qui? Lascia stare Harry, apprezzo molto la tua preoccupazione ma adesso non è proprio il momento e, non mi sembra neanche il caso!»
    Neanche lui sapeva cosa fare adesso, ma quella sensazione non lo lasciava libero...
    Gloria si stava sempre più innervosendo e si guardava attorno a disaggio.




    «Sei un idiota! Sono un idiota!»
    «Shh! Abbassa la voce o sveglierai qualcuno! Stavo dicendo…»
    «Ma come ha fatto ha convincermi!» disse ancora incredula parlando con se stessa con lo sguardo perso nel buio.
    «Ginny, io non volevo, ma poi… mi ha baciato, l’ho baciata!» sussurrò lui ignorando le lamentele.
    «E che differenza c’è?»
    «C’è! Poi c’erano anche Colin, quell’idiota del settimo anno di Cormac, quelle oche delle sue amiche…»
    «Ci sono dei testimoni?! Sei venuto a cercarmi per chiedermi di levarli di mezzo?»
    Non lo prendeva sul serio, ma era troppo preso dal raccontare il suo dramma per offendersi.
    «Sono rovinato, lo saprà tutta la scuola! Come faccio ad evitare che lo venga a sapere Ron?»
    «Ma diglielo tu!»
    «Scherzi?»
    Harry si voltò cercandola con lo sguardo nel buio.
    Sentiva i suoi compagni ronfare.
    «Vado e gli dico “’Giorno Ron, ieri sera ho baciato tua sorella”!» disse sussurrando con enfasi.
    «Harry! Ti piace Ginny?» disse seria.
    Lui si sistemò meglio sul fianco, sforzano gli occhi per distinguere l’oscurità.
    Ti piace Ginny? Non se lo era mai chiesto veramente. Ora che ci pensava gli suonava quasi strano, eppure era come se lo avesse sempre saputo.
    La mente gli ritornò al momento di poco prima, a lei, alle sue labbra, al suo calore…
    Una voce dentro gli urlava “SI!”, ma un’altra, molto più piccola, gli ricordava Ron, proprio quel ragazzo coricato nel letto accanto al suo.
    Si voltò a guardarlo. Distingueva i suoi contorni, era immobile.
    «Si, mi piace…»
    «E allora non se la prenderà. Se, metti caso, ti mettessi con Ginny, sarebbe felice di saperla con una persona che conosce e di cui si fida!» gli spiegò lei con calma e ragionevolezza.
    Non rispose, rimase in silenzio a riflettere.
    La guardò.
    Era assurdo!
    «Poco più di mezzora fa ho baciato Ginny e adesso sto a letto con te!»
    «Ma sei tu che te le crei queste situazioni!
    Torni stanco morto e ti metti a giocare ad uno stupido gioco per ragazzine; mi vieni a cercare e mi trascini qui perché dici di avere una brutta sensazione. Che cosa pretendi?
    Ora capisco perché ti cacci sempre nei guai!»
    Harry sbuffò.
    «Se ci scoprono finisco nei guai! Non so perché ti ho pure dato ascolto!» continuò.
    Gloria si girò sul fianco dandogli le spalle e terminò con un poco convinto “Buona notte…”.
    Harry si voltò dall’altra parte:
    Per fortuna il suo letto era grande!



     
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  3. Luisina
     
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    troppo bello questo capitolo è molto divertente soprattutto il gioco della bottiglia ma come mai si sono massi a dormire insieme? posta presto
     
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  4. ioida
     
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    perchè harry aveva un brutto presentimento, soprattutto dopo che gloria aveva detto che qualcuno la aveva seguita, quindi non si è sentito di lasciarla andare da sola per il castello.
    e in effetti ha fatto bene, perchè alla fine succede veramente qualcosa, non eclatante, ma è un piccolo segno che in seguito diventerà pericoloso.
    e poi doveva parlare di quello che gli era successo con ginny, di ron...
    alla fine non c'è niente di malizioso.
     
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  5. Luisina
     
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    non vedo l'ora che posti il nuovo capitolo
     
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  6. ioida
     
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    ecco un altro capitolo


    9°. Mènage à trois



    Si appoggiò al lavandino e guardò il suo riflesso, illuminato dalla luce giallastra del grande bagno piastrellato di bianco. Lo trovava veramente squallido… l’unica cosa buona era la vista, che dava sull’orizzonte ad est.
    Non era abituata a vedersi ridotta in quel modo, e neanche a sentirsi.
    Lo specchio le rimandava il riflesso di una ragazza pallida, scossa, dal viso teso e contorto dal dolore. Non si riconobbe.
    Si sciacquò la faccia con l’acqua fredda per trovare un po’ di sollievo.
    Erano anni che non provava più il benché minimo dolore, ne che si ammalava.
    Il suo corpo si era rafforzato, diventando quasi una fortezza, e i suoi sensi si erano affinati, senza volerlo.
    Aveva aperto uno spiraglio alla magia nera e questa, piano piano, come un male, si era insinuata nel suo corpo e lo aveva adattato a sé, rendendolo forte e inattaccabile.
    Peccato però che gli effetti negativi c’erano, ed anche abbastanza devastanti, e si sarebbero fatti sentire con l’andare avanti dell’età.
    Era come un patto col diavolo. Ti dava forza e potere, ma ti chiedeva in cambio l’anima.
    Eppure, adesso soffriva maledettamente e non poteva farci niente.
    Quasi le toglieva il respiro quel dolore lancinante. Erano almeno due ore che la torturava e, alla fine, si era dovuta alzare.
    Una fitta più acuta la fece spasimare.
    Rialzò gli occhi sul riflesso.
    Si voltò di scatto.
    «Gloria…»
    Harry si era voltato, sentiva freddo, eppure era coperto. Aprì gli occhi e capì. Era solo nel letto. Si era guardato attorno e, sentendo un rumore d’acqua provenire dal bagno, si era alzato.
    «Già in piedi?» disse stropicciandosi gli occhi scostando gli occhiali che rimasero storti sul naso. Fuori iniziavano ad intravedersi i primi chiarori dell’alba.
    «Si, adesso mi vesto e vado.»
    Harry la guardò meglio. «Ma stai bene? Sei pallidissima.»
    «Si… Dai, torna a dormire altrimenti non ce la fai a stare sveglio a lezione.»
    Harry alzò le spalle e senza pensarci troppo tornò a letto.
    Lei si tolse il pigiama che gli aveva prestato il ragazzo e lo piegò.
    Rientrò silenziosa nella camera ancora addormentata. Si avvicinò ad Harry, che si era addormentato immediatamente, e si accorse che non si era tolto gli occhiali. Glieli sfilò con garbo, cercando di ignorare il dolore al braccio.
    «Io vado!» gli sussurrò all’orecchio e se ne andò.



    «Harry! Harry, svegliati!»
    Ron lo scosse forte.
    «Alzati è tardissimo!»
    Harry si alzò e si mise gli occhiali in preda alla confusione.
    «Che c’è?»
    «Sono le otto meno un quarto!» disse infilandosi il maglione.
    Harry si alzò di scatto e corse a vestirsi.
    Scesero le scale di gran fretta. Avevano quattro minuti per mangiare e raggiungere l’aula di difesa.
    Arrivarono alla rampa che dava sull’ingresso e Harry si fermò esausto per riprendere fiato.
    «Dai Harry muoviti, non ho intenzione di saltare la colazione!» disse Ron tirandoselo per un braccio.
    Lui si appoggiò alla balaustra quasi piegato in due per il dolore al fianco che lo aveva preso durante la corsa.
    «Aspetta!» disse tra un respiro e l’atro.
    Guardò i suoi piedi nella speranza che riprendessero a camminare da soli, ma niente. Stava per rialzarsi quando vide qualcosa luccicare.
    Si strofinò gli occhi pensando di aver visto male e riguardò a terra.
    Non si era sbagliato, c’era un filo trasparente attaccato ai piedi della balaustra. Si chinò e lo prese.
    Questo continuava seguendo la lunghezza del gradino fino a metà.
    «Che strano…» si disse pensieroso.
    «Dai, non perdiamo tempo! Che te ne importa di un filo, mica devi metterti a ripulire!»
    Harry lo ignorò e guardò il corrimano opposto. Sforzò gli occhi ma lo vide, un altro filo uguale e che pareva arrivare dove l’altro finiva.
    «Allora?» chiese Ron spazientito.
    «Allora Ron, qui qualcuno ha voluto fare uno scherzo idiota e c’è riuscito!»
    «Che?»
    «Questo filo teso all’inizio della rampa di scale è pericoloso e, a quanto, pare qualcuno c’è inciampato!»
    Tolse i fili e se li mise in tasca.
    Ripresero la loro corsa.
    Arrivarono in aula con quindici minuti di ritardo (per colpa delle scale!), e la professoressa Devis li accolse con il suo solito sorriso.
    «Meno male che non se la prende!» gli aveva sussurrato Ron prima di andarsi a sedere al primo banco, accanto ad Hermione.
    Harry si sedette, come la settimana prima, in fondo all’aula. Pure Gloria aveva mantenuto lo stesso posto.
    La professoressa riprese a spiegare.
    «Il vampiro è molto più complicato di quello che sembra. Non è un semplice assassino, non uccide per la “sete” di sangue, ma…»
    «Professoressa, lei ha mai incontrato un vampiro?» una ragazza di corvonero era intervenuta sbandierando la mano in aria.
    «Ho avuto degli incarichi in cui ho dovuto trattare con dei vampiri prima di venire qui.
    Come vi ho detto sono disinteressati alla vita delle altre creature magiche, perché non lo sono completamente, rientrano nella categoria dei demoni, ma è molto utile stringere accordi con loro, data appunto la loro posizione quasi esterna.» la Devis era seduta sulla cattedra e spiegava con un tono serio e pacato.
    «Soprattutto in questo periodo, in cui tutti i diversi accordi stanno saltando, e molto…»
    «Quali accordi?» chiese la compagna di banco della ragazza che era intervenuta prima. Hermione la guardò male, come se avesse fatto la domanda più stupida che si potesse fare.
    La Devis sorrise.
    «Gli accordi presi tra il mondo magico e le creature magiche, che definivano i vari confini territoriali alla fine degli anni quaranta. Quest’anno lo studierete sicuramente in storia della magia. Comunque, come dicevo prima, questi accordi stanno saltando, perché molte creature, soprattutto quelle oscure, preferiscono allearsi con Voi-sapete-chi, trovando le sue promesse di totale libertà anche nel mondo babbano, molto allettanti.
    Ultimamente l’UMM che, come sapete è l’unione magica mondiale, sta trovando serie difficoltà nel gestire le conseguenze di questo momento di squilibrio.
    Molte creature oscure invadono i territori abitati da altre creature provocando spostamenti e migrazioni, e a volte giungono addirittura in luoghi urbani babbani e magici.
    In questo caso, il vampiro, rimane fuori da questi disordini, non ha un territorio e non viene delimitato dalla comunità magica, è libero.
    Ma, non dobbiamo dimenticarci che non resiste all’odore di sangue e di violenza. Sono attirati dalla vita, e cosa c’è di più vitale di una lotta?» disse allargando le braccia sottolineando l’ovvietà della cosa.
    «Ma la lotta porta morte. Come può essere simbolo di vita?» chiese questa volta Justin Finch-Fletchley.
    «Per questo dico che, il vampiro, è l’essere più complesso, anche più complesso dell’uomo stesso! Il concetto di vita è strettamente collegato alla morte. Quando si sta lottando per la propria vita, la si sente solo in quel momento veramente.
    Ci rendiamo conto della nostra vita solo quando stiamo faccia a faccia con la morte. Si sente il proprio cuore battere ogni battito, ogni proprio respiro…. Questa è droga per i vampiri, loro che sono, per antonomasia, i non-morti e vivono in un limbo sono attirati da quello che non hanno e che gli è stata tolta, cioè la vita e la possibilità di morire.»
    Harry ascoltava assorto, come il resto della classe.
    Poi sempre Justin Finch-Fletchley disse:
    «Allora perché non si uccidono, se soffrono per il fatto di aver perso la possibilità di morire?»
    «Sono demoni ma con una coscienza umana sporca di vittime innocenti, sono dannati e temono la morte per ciò che li attende in seguito. Preferiscono continuare ad avanzare ciechi attraverso i secoli senza trovare la pace.»
    Seguì il silenzio. Dopo poco la professoressa sorrise e disse:
    «I vampiri sono creature estremamente affascinati!»
    «Signorina Devis, anni fa ho sentito parlare di vampirismo da parte di persone apparentemente normali. Cosa significa? Che i vampiri possono anche uscire di giorno, lavorare, avere una famiglia….?» chiese la ragazza che poco prima Hermione aveva guardato male.
    «No, assolutamente! Vampirismo, non è un termine che si usa per indicare il comportamento tipico di un vampiro.
    Il fatto che il vampiro in sé sia attirato dalla vita, ha portato alcuni esemplari a scegliere dei soggetti particolarmente interessanti e conflittuali, come amanti-amici.
    Il vampiro ovviamente ha una concezione più vasta dell’amore.»
    «Possono amare?» chiese incredula Susan Bones.
    «Certo, molto più degli esseri umani!» affermò la Devis. «Il loro è amore platonico, dato che non hanno pulsioni sessuali, ma sensuali, cioè dei sensi.
    Scelgono questi loro amanti che, dalla comunità, vengono accusati di vampirismo.
    Questi individui li amano, bevono il loro sangue, divenendo in tal modo irresistibile per loro, e questo, a volte li porta a bere il sangue delle vittime del vampiro, diventano complici dei delitti e/o assassini a loro volta.
    Ci sono diverse teorie inoltre sul passaggio del sangue, una specie di rapporto sensuale tra il vampiro e l’amante.»
    «Ma l’amante non viene ucciso? Non è in pericolo?» chiese Hannah Abbott.
    «No, il vampiro non oserebbe mai uccidere la persona che ama. Per lui è anche il collegamento con il presente, bisogna tener conto che il vampiro solitamente vive per secoli, e per loro è difficile adattarsi senza una “guida” al presente.»
    La professoressa continuò a parlare e a rispondere alle diverse curiosità e domande che le venivano poste per tutta la lezione.
    Quando la campana suonò, si poté quasi dire che dispiaceva a tutti.
    «Alla prossima lezione continuiamo il discorso. Intanto fate qualche ricerca per conto vostro o pensate se avete qualche dubbio da chiarire!» disse terminando salutando la classe con la mano sottile e un movimento grazioso delle dita.
    Non si poteva togliere il fatto che era una grande ammaliatrice.




    «Ti sei dimenticato il quaderno?»
    Potevano essere le cinque e mezza del pomeriggio. Quella volta avevano terminato prima i compiti e aveva attaccato subito con pozioni. Gloria lo guardava male dall’altra parte del tavolo.
    «Che cosa ti avevo detto a riguardo, Harry?» lo riproverò severa come non mai.
    Harry si sentì quasi colpevole, canzonato come un bambino alla quale si devono dire le cose mille e più volte prima che se le inculchi nella testa.
    Difatti, non si ricordava neanche che gli aveva detto Gloria che adesso gli stava chiedendo con quel tono così duro e quasi rassegnato.
    Tacque.
    «Quel quaderno deve essere come una seconda bacchetta per te!» cantilenò lei infine.
    «Ma stamattina ero di fretta e…»
    «Vallo a prendere allora!» lo interruppe lei incrociando le braccia al petto poco paziente. Harry si alzò e raggiunse la porta.
    «Muoviti!» gli disse prima che uscisse.


    Salì le rampe di scale senza affannarsi troppo. Non capiva perché ci tenesse così tanto a quello stupido quaderno.
    Gli mancava un piano quando incrociò Ginny che parlava con Naomi di qualcosa di bello.
    Aveva pensato a lei per tutto il giorno, a come comportarsi con lei, cosa dirle, cosa fare… cosa farle…
    Infondo Gloria aveva ragione, non tradiva la fiducia di Ron se gli piaceva la sorella!
    Si, gli piaceva! Dopo due ore di trasfigurazione, due di erbologia e altre due di incantesimi, si era convinto, non c’erano dubbi.
    Si era avvicinato alle due, ascoltando ciò che dicevano.
    «Pare si sia fatto tutta la rampa centrale dell’ingresso, rotolando! Nessuno se n’è accorto fino alle tre, quando il professor Piton si è trovato a passare di lì per caso. Hanno detto che è conciato male.» diceva Naomi pettegola.
    «Veramente? È fantastico, ben gli sta! Appena mi trovo lo dico a Fred e George.»
    «C’è chi pensa che sia opera di Pix, che lo abbia spinto per le scale…»
    «Allora sarà meglio andare a ringraziarlo! Ci ha tolto di mezzo Gazza, non è cosa da poco!» disse sorridendo Ginny.
    «Ciao!» le due si erano voltate verso di lui. Ginny lo guadò con sufficienza, mentre l’amica pensò bene di congedarsi con un semplice “ho da fare…”.
    «Si?» chiese spiccia lei.
    «Tutto bene?» disse Harry trovandosi tutto d’un tratto in imbarazzo e, senza sapere precisamente cosa dirle.
    «A me si! Piuttosto tu, come mai mi parli, se arrivasse Ron e ci vedesse tutti soli potrebbe pensare male!» lo punzecchiò chiaramente offesa per il comportamento della sera prima.
    «No, io…!» si grattò impacciato la testa.
    «Tu cosa Harry?» chiese fredda.
    «Volevo dirti che…» cercò le parole, ma più si sforzava, più gli uscivano fuori dalla bocca frasi sconnesse. «Ieri sera, io… non volevo baciarti, anzi si! Cioè…»
    Ginny incrociò le braccia al petto poco paziente.
    Harry guardava le punte delle sue scarpe codardo, dandosi mentalmente dell’idiota completo.
    Non riusciva più a dire una parola, eppure lei era lì, bella e arrabbiata… e non riusciva a parlarle, mentre avrebbe avuto tanto da dirle.
    Sospirò rassegnato. Non c’era proprio niente da prendere da lui?
    Seguì un lungo momento di silenzio e di tensione, lui imbarazzato, lei arrabbiata, che non fece altro che peggiorare la situazione.
    Alla fine lei si mosse.
    «Ciao Harry.» disse secca e delusa voltandosi per andarsene.
    Harry a quel punto la afferrò con le sue ultime speranze per un braccio.
    Non voleva che andasse via.
    La voltò verso di sé e, dall’espressione, capì che non doveva essere molto contenta di quell’audacia.
    O la va o la spacca! Si disse.
    La attirò a sé stringendola con un braccio e la baciò ancora una volta.
    Sentì nuovamente il sapore di quelle labbra, il calore, il corpo stretto nel suo abbraccio, le braccia di lei che si avvolgevano attorno a lui stringendolo a sé.
    Aveva risposto al bacio e quasi gli venne da piangere per la felicità.
    A quel paese Ron e la sua gelosia, a quel paese Gloria e le lezioni di pozioni, a quel paese Voldemort e la sua mania da grande mago oscuro, la magia e Hogwarts e tutto il resto appresso.
    L’aveva tra e braccia e non esisteva più nulla se non lei.
    Continuò a baciarla senza sosta, nel corridoio vuoto, con la paura che finisse, con la paura che fosse solo un bellissimo sogno.
    «Harry…» sussurrò estasiata lei quando staccarono le labbra, l’uno dall’altra. Gli accarezzò dolcemente una guancia con le punte delle dita.
    Harry le posò un leggero bacio a fior di labbra, sulla guancia e infine affondò nell’incavo del collo assaporandone il sapore della pelle ed il profumo dei capelli vermigli.
    Lei gli passò la mano lungo tutta la schiene, salendo fino ad affondarla tra capelli scompigliati, provocandogli dei brividi incontrollati.
    Harry la spinse contro il muro schiacciandola col suo corpo, per aderire ancora di più a lei.
    Continuò a baciarle il collo, l’orecchio, le labbra, ancora le labbra… appassionato come mai si era immaginato e sentito.
    «Potter!»
    Gli si gelò il sangue nelle vene. Quella voce, quel tono trascinato e sfottente. Non poteva essere, non in quel momento!
    «Adesso ti fai anche la Weasley? Hai proprio una passione per le pezzenti! Ma forse lei non sa di ieri notte e delle altre prima… oppure glielo hai detto ed è disposta a tutto pur di poter stare con te?»
    Harry si voltò vero la voce.
    Draco Malfoy si avvicinava seguito dalla Parkinson e da Zabini.
    Cosa avevano in mente? Cosa volevano ottenere?
    «Che vuoi Malfoy!?» disse allontanando Ginny con il braccio.
    I tre risero maligni come non mai.
    La Parkinson si fece avanti guadando Ginny con occhi cattivi, poi si rivolse a Harry.
    «I mie complimenti Potter! Non avevo mai visto quella santarellina della Weston ridotta come stamattina, quando è tornata alle sei. Era stanca, pallida e affannata, devi esserti dato da fare stanotte!»
    Erano venuti a rovinargli tutto, ma non l’avrebbe permesso.
    «Non rompere. Dovete smetterla con queste storie. Lasciate in pace Gloria e lasciate in pace me, chiaro?» disse risoluto alzando la voce.
    Afferrò la mano di Ginny e si voltò per andarsene, ma lei tentennò a muoversi, guardava la Parkinson incerta.
    «Ops!» fece la Parkinson guardando dispiaciuta la rossa.
    «Forse la stracciona Weasley non lo sapeva!» disse Malfoy fintamente dispiaciuto poggiandosi una mano sul viso.
    «Non li ascoltare Ginny! Andiamo…» disse stringendole di più la mano e tirandola un po’ verso di sé.
    Era terrorizzato, aveva paura che credesse alle loro assurde storielle. Lei non accennava a muoversi, fissava con occhi vuoti le loro mani che si stringevano.
    «E bravo Potter, non me lo aspettavo da te, sei una sorpresa, un menage à trois eh?» disse Zabini facendo ridere ancora di più gli altri due.
    «Smettetela idioti!» Harry stava iniziando a perdere le staffe.
    Perché Ginny ascoltava le parola di persone tanto maligne? Perché non faceva niente?
    «Non dare loro ascolto Ginny, non vedi che lo fanno a posta per farti male? Sono cattivi!»
    La Parkinson si fece avanti quasi offesa.
    «E no, se lo dico ti faccio solo un favore Weasley! Anche se stracciona, sei pur sempre una purosangue. Se volevo essere cattiva con te, non ti dicevo proprio niente!»
    Ginny guardava confusa la Parkinson.
    «Si inventano un mucchio di fesserie, non ascoltarli! Perché non ti fidi di quello che ti dico?» gli disse Harry che stava iniziando a vacillare.
    «Un mucchio di fesserie?» fece scettico Malfoy.
    «Sentiamo chi le dice veramente!» disse la Parkinson elettrizzata da chissà quale idea perversa che le passava per la testa.
    Harry sentiva che stava velocemente perdendo sempre più il controllo sulla sua rabbia.
    «Dove avete passato la notte tu e la Weston ieri?» chiese impertinente.
    «Non sono affari tuoi!» disse tirando con forza Ginny per farla camminare, ma non si mosse, questa volta molto più determinata.
    «Oh, Potter! Non rispondi, vuol dire che c’è qualcosa sotto… Io non starei così tranquilla Weasley!» fece la Parkinson in tono malizioso ed eloquente.
    Ginny lo guardò questa volta in attesa di una risposta, attenta ad ogni suo più piccolo movimento o reazione, tesa e con gli occhi indagatori.
    Non si fidava. Harry quasi si sentì male.
    Fino a pochi minuti fa era sua ed adesso lo guadava in attesa di una risposta.
    «Diglielo Potter, non mi sembra giusto nei suoi confronti!» disse Malfoy in tono bonario.
    Harry si sentiva confuso e bombardato, stava crollando, non ci capiva più niente. Gli venivano in mente le immagini della sera precedente e non sapeva neanche lui perché.
    “Sei tu che te le crei queste situazioni!” gli ripeteva la voce di Gloria nella sua mente.
    Stava soffocando tra due fuochi, sempre più stretto, sempre più assillato.
    Ginny non parlava, Ginny ascoltava le parole della Parkinson, e la Parkinson aveva ragione.
    Doveva mentire e Ginny era lì, e non poteva!
    «Vediamo quanto è sincero il nostro “prescelto”, paladino del bene!
    Allora Potter, dove siete stati ieri notte tu e la Weston?»
    Harry si sentì esplose come un fiume in piena, senza rendersi conto di cosa diceva o faceva. La sciò la mano di Ginny e si avventò contro la Parkinson urlando.
    «NEL MIO LETTO! VA BENE?!»
    Seguì un silenzio statico nel corridoio.
    Sentiva solo il sangue che gli fluiva prepotente al cervello, con il cuore che gli batteva assordante nei timpani, in gola e nel petto e il respiro affannato e aritmico.
    Confuso, vedeva senza capire, i volti dei tre serpeverde che lo guardavano attoniti.
    Che cosa aveva fatto, non lo sapeva neanche lui. Era in uno stato di trans dalla quale non si voleva risvegliare. Si sentiva incredibilmente molle e pesante.
    La Parkinson ghigno fulminea come se si fosse appena accesa.
    «Che ti avevo detto!»
    La bomba fu sganciata, ed era stato lui ad innescarla, ed aveva distrutto tutto il suo mondo.
    Gli sembrava tutto così lento, denso.
    Non sapeva come, ma adesso vedeva Ginny.
    Delusa, arrabbiata, incredula. Magari!
    Lo guardava inespressiva. Non disse una parola, non mosse un muscolo.
    Lo fissò per quella che gli sembrò un’eternità, in cui rimase col fiato sospeso, sulla corda di un funambolo.
    «È vero?» chiese asciutta e inespressiva. Voleva solo sapere la verità.
    Harry non sapeva se rispondere. Era impantanato tra il “si, è vero” e la paura di perdere tutto. Avrebbe voluto urlarle che non era successo niente, che non aveva alcuna importanza, ma la voce, vigliacca, non gli uscì, non riuscì a fare altro che un cenno di assenso con la testa.
    Lei incassò il colpo senza più guardarlo. Si voltò e se ne andò via, sempre più lontana, lontana da lui, fredda e distaccata.
    Era poco dire che si sentiva svanito.
    Aveva un groviglio di pensieri e di impulsi, ma alla fine non ne prevalse nessuno.
    Avrebbe potuto inseguire Ginny e dirle tutto, avrebbe potuto uccidere quei tre. Ma non lo fece, rimase immobile a guardare il vuoto lasciato dalla ragazza che lo aveva appena lasciato, per sempre.
    «Eh, Potter! Non si fa, malandrino!» lo sbeffeggiò Zabini
    «Poi con la sorellina di lenticchia! Mi sorprendi sempre di più! Sei deplorevole!» disse Malfoy.
    Non li sentiva. Era distrutto e si vedeva, e sapeva che loro ci godevano in questo.
    Ma non se ne preoccupò, non si preoccupò più di nulla.
    Un’unica cosa gli passava per la testa, un’unica consapevolezza bruciante, che all’apparenza non c’entrava niente con tutto ma che forse era il punto cardine del suo vuoto:
    Sirius….
     
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  7. Luisina
     
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    troppo emozionante questo chappy brava che peccato per Harry e Ginny
    ma che è successo a Gloria come mai era pallida?malfoy affonda sepre l coltello nella piaga

    posta al più presto
     
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  8. ioida
     
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    10°. Lacrime

    Camminava per inerzia.
    Il mondo le era crollato addosso con tutto le sue speranze e i sogni che per un attimo si erano realizzati. Che tremenda illusione.
    Il dolore le attanagliava il petto. Un dolore sordo e acuto. Il suo cuore era andato in frantumi.
    Faticava a respirare, le faceva male, si sentiva soffocare dalla disperazione.
    Fitte la tormentavano quando cercava di introdurre aria nei polmoni.
    Harry, il suo Harry!
    Non poteva crederci ancora.
    Si trascinava sulle gambe non sapeva con quale forza. Si era abbandonata al dolore.
    Era arrivata davanti al ritratto ed era entrata nella sala comune senza accorgersene.
    Le gambe le cedettero e si sostenne alla prima cosa che le capito vicina, una poltrona.
    Voleva sparire, voleva tornare nella sua stanza e non uscirne mai più.
    Tutto finito, tutto distrutto, inesistente.
    Le lacrime le solcarono il viso contorto in una espressione di dolore.
    I singhiozzi erano lame fitte dritte al cuore.
    Perché?
    Si chiedeva disperata.
    Sentiva voci attorno a se, vedeva cose confuse, ma non le ascoltava, non le capiva.
    Erano persone che si stavano preoccupando per lei. Erano spaventate.
    Si teneva la mano stretta al petto, come a stringere una profonda ferita sanguinate.
    Si sentiva chiamare, ma non rispose.
    Si sentiva pietosa. Una stupida ragazzina pietosa che piangeva per il suo sogno infranto. Per la delusione.
    Cosa si poteva aspettare, era pur sempre un ragazzo. Un ragazzo come tutti gli altri.
    Si era illusa che lui fosse speciale, il suo principe perfetto e maledetto.
    Invece aveva ceduto.
    Quella schifosa, quella….
    Respirò nonostante il dolore.
    Sentiva ancora il sapore delle sue labbra sulle sue. Lo vedeva come se fosse lì, ancora davanti ai suoi occhi, che urlava contro la Parkinson, che con un semplicissimo cenno del capo distruggeva tutto ciò che aveva costruito fino ad allora.
    Non voleva tutte quelle persone attorno.
    Si mosse barcollando verso la porta del dormitorio, scansando e andando a sbattere contro cose indefinite che le si muovevano attorno.
    Finalmente era sola, nella sua stanza, sul suo letto.
    Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi, per riuscire a respirare.
    Uno, due, tre respiri regolari poi un foste singhiozzo improvviso la vece contorcere di dolore.
    Il viso completamente bagnato strava inumidendo fastidiosamente il cuscino.
    La odiava, era colpa sua, perché Harry non c’entrava, perché non avrebbe mai fatto una cosa del genere a lei.
    Quella maledetta manipolatrice, subdola e ammaliatrice.
    Sentì bussare, ma non rispose. Non aveva la forza per parlare, a nessuno.
    La porta si aprì lo stesso.
    Era Hermione.
    Non si arrabbiò, proprio la presenza di lei la rincuorava.
    Si sedette sul bordo del letto accanto all’amica, preoccupata nel vederla così ridotta.
    «Cosa ti è successo?» chiese gentile accarezzandole amorevolmente i capelli rossi.
    Lei si voltò dandole le spalle. Non riusciva a parlare.
    «Ginny…» chiese preoccupata Hermione.
    Aveva tanta voglia di liberarsi dal grosso macigno che le schiacciava il petto. Provò a parlare più volte, ma più si sforzava, più si sentiva peggio e le lacrime e in singhiozzi la vinsero soffocandola.
    «Calmati, su! Cosa ti è successo, come mai stai così male?»
    Hermione si sedette dall’atra parte del letto per guardarla in volto. Erano anni che non la vedeva in quello stato, e quasi era spaventoso quel “ritorno”, ormai abituata alla vera Ginny tutto pepe.
    Dopo pochi minuti, prese un respiro profondo e parlò.
    «Hermione!» aveva la voce vergognosamente tremante, lei stessa non si riconobbe. Lacrime calde continuarono a scendere.
    «Io… Quella puttana…» non riuscì a proseguire.
    «Che stai dicendo Ginny! Di chi parli?» chiese allarmata all’amica, che intuiva già a chi si stesse riferendo, ma ne ebbe timore.
    Aveva lasciato Ron al piano di sotto che si stava mangiando le mani per l’agitazione. Fortunatamente i ragazzi non potevano salire nei dormitori femminili, altrimenti avrebbe spaccato tutto come una belva, finché non avesse saputo chi era stato a ridurre così la sorella.
    «Lo sai di chi parlo!» Ginny era scattata su come una molla, infervorata, con tutti i capelli rossi arruffati che andavano ribelli per ogni direzione.
    «Tu che la difendevi tanto! È diversa di qua, e brava di là! Il cazzo! Vuoi sapere che cosa ha fatto la tua amichetta? Quella stronza?» la voce le remava di rabbia, non sapeva perché, ma non era riuscita neanche ad urlare. Voleva solo buttare fuori tutto il male che aveva in corpo.
    Le raccontò tutto, senza mezzi termini.
    Hermione ascoltava ogni parola sempre più incredula. Ad un certo punto dovette intervenire, non poteva credere a quello che le aveva detto. Non era assolutamente possibile.
    «Ma sei sicura Ginny? Non può essere che hai capito male o che quegli idioti ti hanno detto un mucchio di stupidaggini?»
    «No Hermione! Non ho ne sentito ne capito male, è stato chiaro, lo ha urlato!»
    Hermione sentiva cedersi i terreno sotto i piedi. Quello segnava definitivamente la fine dell’amicizia tra Ron e Harry, della loro amicizia.
    «Nel mio letto! Quando la Parkinson glielo ha chiesto. Se l’è portata qua, capisci?» diceva Ginny tra le lacrime. «Quella troia! Poi lui viene e mi bacia come se fosse niente. Come ieri sera…» e un pianto convulso la aveva nuovamente rapita.
    «Se l’è preso! Perché Harry non era così, è stata lei. È colpa sua!» disse disperata nascondendosi il volto tra le mani.
    Hermione la osservava attonita, incredula. Cosa cavolo era successo? Perché non riusciva a raccapezzarsi, perché non si era accorta di tutto?
    Delle urla provenienti dalle scale del dormitorio la fecero ritrarre.
    L’orrore sul suo volto parlava da sé.
    Ron stava salendo con la forza!

    La porta della stanza venne spalancata senza garbo e Ron entrò maestoso come un re in battaglia, con in mano la scopa che aveva usato per salire le scalinate che, se avesse provato ad usare, si sarebbero appiattite diventando uno scivolo.
    «CHI È STATO?» tuonò imponete in tutta la sua altezza.
    «Ron calmati!» cinguettò Hermione che, con un’occhiataccia si fece piccola piccola.
    Non ebbe il coraggio di immaginare i risvolti di quella storia assurda.
    Ron sembrava in presa ad una follia omicida, e avrebbe ammazzo chiunque senza indulgenza per la sorella.
    «GINNY DIMMI CHI È STATO!»
    Ginny scosse la testa, per niente intenzionata a parlare. Aveva paura, aveva capito il grande tramma che stava per succedere, e non voleva, non voleva che se la prendesse con Harry.
    Ron era a dir poco fuori di se per il silenzio delle due.
    Ragionò. Spulciò nella sua mente i vari ragazzi che si erano avvicinati un po’ troppo a sua sorella e lo trovò.
    «DEAN! È STATO QUEL BASTARDO!» senza alcun dubbio si avventò sulla porta, deci so a trovare quello schifoso e dargli una bella lezione.
    Hermione scattò da letto e raggiunse la furia rossa prendendolo per un braccio e cercando di frenarlo.
    «RON TI PREGO! DEAN NON C’ENTRA NIENTE!» cercò di farsi sentire lei faticando molto a trattenerlo.
    Lui si fermò sulla soglia.
    «Allora tu sai qualcosa!» disse in tono di accusa lui puntandole un dito contro.
    «Adesso mi dici tutto!» le ordino deciso abbassando la voce.
    Hermione si maledì per essersi intromessa, non voleva saperne nulla di quella storia, ma d’altronde non poteva far finire in infermeria un innocente.
    «No lo so, Ron!» disse flebilmente arretrando di qualche passo abbastanza intimorita. Provò a farlo ragionare, era l’unica cosa che sapeva fare, peccato che Ron fosse indomabile.
    «Se solo ti calmassi…»
    «CALMARMI! MA L’HAI VISTA?» disse, di nuovo urlando, indicando la sorella rannicchiata nel letto.
    «Certo, però se tu ti calmassi, io credo che Ginny non si spaventerà a raccontarti quello che le è successo. Insomma, così fai leggermente paura, sei un tantino irrazionale!»
    Ron la osservo attentamente. Sembrava riflettere sulla proposta di Hermione.
    Prese un profondo respiro e si avvicinò al letto della sorella, controllando la rabbia.
    Si schiarì la voce e si sedette accanto a lei.
    «Ginny…» parlava con voce bassa e calma, ma si sentiva che si stava sforzando molto per non perdere il controllo.
    «Per caso, qualcuno…» per un attimo parve in imbarazzo. «… ti ha toccata… un po’ troppo?» continuò serio.
    A Hermione caddero le braccia per terra, a Ginny la faccia.
    «Sai cosa intendo dire… qualcuno ti ha convinta a fare qualcosa che non volevi o ti ha costretta?»
    Ma che stava dicendo quell’idiota di Ron? Si chiesero entrambe per l’imbarazzo.
    «Non ti preoccupare, non lo dico a nessuno. Nemmeno a mamma, non ti farei mai una cosa del genere!»
    Ginny la guardò supplichevole di levarglielo di mezzo. Lo capiva benissimo, la stava torturando. Decise di provare.
    «Ron, ti dirò tutto!» disse lei cercando di tenere a bada il rosso che si era voltato di scatto verso di lei come una iena.
    «Ma prima devi darmi il tempo di… » non trovava le parole giuste e si gettò. «di verificare….»
    «Di verificare?» era scattato offeso Ron. «Questo mi sembra più che sufficiente e chiaro!» disse indicando la sorella ancora in lacrime.
    Decise che era arrivato il momento di dire la verità. Certo, avrebbe preferito poterne parlare prima con Harry, ma non aveva molte soluzioni, Ginny era disperata.
    «Harry…»
    Il rosso aveva cambiato espressione sentendo quel nome, gli si era come afflosciato il viso, ma non parlò, ascoltò tutta la storia calmo, inquietantemente impassibile.
    Hermione termino, aveva provato a renderlo il meno tragico, ma non c’erano particolari da poter eliminare per alleggerire le accuse.
    Ron rimase in silenzio per alcuni secondi.
    Poi si alzò dal letto con fare deciso e calmo.
    Ginny si era avventata su di lui pregandolo di non fare niente di avventato, che Harry non aveva fatto niente di male. Ma lui se la scrollo di dosso senza troppi problemi.
    Aveva lo sguardo determinato freddo.
    «Ron ti prego!» lo supplicò questa volta Hermione cercando di sbarrargli la porta.
    Aveva paura che facesse qualcosa di avventato. Sembrava tranquillo, ma era completamente irrazionale. L’unica cosa che lo muoveva era il trovare Harry.
    «Basta Hermione! Si è spinto troppo oltre.» disse freddo. La scosto con un braccio come se fosse stata di pezza.
    Scese le scale senza problemi.
    A quanto pareva i fondatori di Hogwarts non avevano trovato utile modificare le scale al passaggio di un ragazzo che scendeva.
    Lei lo inseguì per tutte le scale e poi fuori nella sala comune e nel corridoio.
    Si sentì morire. Incrociarono Harry proprio alla fine di quel corridoio.
    Quando li vide si fermò.
    Ron fece lo stesso, come Hermione d’altronde che aveva il cuore a mille.
    Il corridoio era vuoto fortunatamente. Ci mancava soltanto che si venisse a sapere una cosa del genere in giro.
    Harry guardò l’amico e capì. Abbassò lo sguardo inespressivo. Non si mosse, rimase fermo in attesa del verdetto.
    Ron gli si avvicinò a grandi passi. Lo afferrò, con una mano alla collottola della camicia e, con l’altra, gli diede un pugno che gli fece volare via gli occhiali e crollare a terra.
    Hermione si coprì gli occhi con le mani. Era terribile per lei dover vedere i suoi migliori amici litigare e picchiarsi.
    Ma Harry non reagì. Si rialzò piano da terra.
    Hermione lo guardò, aveva il labbro inferiore spaccato e grondava sangue. Si accorse di piangere. Doveva fare qualcosa, perché Ron lo afferrò di nuovo, con tutte e due le mani infuriato come non mai, lo sollevò quasi da terra e lo sbatté violentemente contro il muro.
    La testa di Harry fece un rumore sinistro quando colpì il muro di pietra. Hermione si avvicinò prendendo Ron per un braccio e tirandolo con tutte le proprie forze, ma senza risultati.
    «La hai fatta entrare nella nostra torre!» disse ringhiando e lo sbattendolo con forza ancora una volta.
    Harry rimase inerme con gli occhi chiusi in attesa. Ron aveva il respiro affannato per l’agitazione.
    «Preferisci stare sempre con quella sporca bastarda, figlia di chissà quale mangiamorte fottuto!» lo sbatte nuovamente con violenza.
    «E fai! Stacci se ci tieni tanto! Allontanaci, non parlarci più, non dirci più niente, ma… non osare mai più avvicinarti a mia sorella e…» gli diede un altro spintone contro il muro.
    Gli si avvicinò pericolosamente sputandogli tutto il veleno che aveva in corpo.
    «… falla entrare di nuovo nei nostri dormitori, e non solo sarai un fottutissimo bastardo, ma anche un traditore!»
    Hermione, oramai in preda alla disperazione, non aveva neanche il coraggio di fermarlo, mentre Harry continuava a non muovere un muscolo e a farsi sbattere ripetutamente contro il muro, con gli occhi bassi.
    Ron lo mollò, guardandolo disgustato crollare a terra. Lo apostrofò un’ultima volta.
    «Vai a scopartela da un’altra parte la tua amica! Non mi hai mai fatto tanto schifo come adesso!»
    Si sentivano ora solo i singhiozzi strozzati di Hermione echeggiare nel corridoio.
    Ron indietreggiò di qualche passo, si pulì col dorso della mano la fronte, ancora molto scosso, guardando il suo operato, dall’alto.
    Harry, quello che, fino a poco prima, considerava il suo migliore amico, aveva tradito lui, la sua fiducia e aveva fatto soffrire sua sorella.
    Hermione si avvicinò ad Harry che non accennava a muoversi.
    «Lascialo stare!» disse Ron sbarrandole la strada con un braccio.
    Hermione cercò di scansarlo, ma il rosso la rese per un braccio e la tirò a sé.
    «Non si merita la tua benevolenza!» sentenziò.
    «Non lo hai neanche sentito!» disse Hermione cercando di farlo ragionare.
    Lui la ignorò e la strasciò con sé verso il ritratto della signora grassa.
    «Harry!» spirò la ragazza stremata da quella situazione, da quella vista. Non riusciva a smettere di piangere, cercò la bacchetta, ma si accorse di averla lasciata sul tavolo dove fino a poco neo di un quarto d’ora prima si stava esercitando.


    Harry si alzò confuso e frastornato. Non aveva avuto la forza di rialzarsi prima di vederli sparire oltre il ritratto.
    Barcollava e gli pulsava maledettamente la testa e il labbro.
    Aspettò qualche minuto prima di decidersi ad entrare.
    Doveva prendere quel quaderno ed andarsene, tornare a studiare e basta. Aveva perso già troppo tempo.
    Attraversò la sala comune con passo veloce. Non voleva stare la dentro, non si sentiva più voluto in quel posto.
    «Harry!»
    Hermione gli si era avvicinata preoccupata, con gli occhi ancora lucidi, quando aveva messo il piede sul primo dei gradini che portavano al dormitorio maschile.
    Lo abbracciò stretto. Lui non reagì neanche questa volta.
    «Harry, che cosa è successo?» chiese alzando gli occhi per incrociali con quelli verdi dell’amico.
    Non rispose, non disse niente. Il suo viso non diceva niente, era una maschera inespressiva e fredda.
    La staccò da sé e salì indifferente.
    Doveva andare a studiare, aveva un esame da fare, e cinque anni di pozioni da recuperare.
    «Non mi importa niente di quello che è successo, ma ti prego parlami!» gli disse disperata con un filo di voce.
    Entrò nella stanza.
    C’erano Neville, Dean e, coricato sul proprio letto, Ron impegnato a fulminare il baldacchino sopra di lui con lo sguardo.
    Se, quando era entrato il rosso i due erano diventati improvvisamente taciturni, quasi per paura, quando entrò Harry, il silenzio calò per la preoccupazione. Aveva il viso maciullato.
    Li ignorò e ignorò il rosso, che ricambiò senza troppe difficoltà.
    Prese il quaderno da dentro il baule e uscì.




    Salì gli ultimi gradini. Doveva essere quello il piano dove c’era l’entrata per la torre di grifondoro, perché la sera prima si ricordava, nonostante il buio, di quel ritratto di una donna cicciotella vestita di rosa.
    Era stata mezzora ferma ad aspettare osservando il muro di pietra che le stava di fronte.
    E meno male che gli aveva detto di fare in fretta!
    La prossima volta lo avrebbe invitato a fare col suo comodo direttamente, almeno evitava di farsi prendere in giro…
    Si, era proprio quello il piano, perché proprio in quel momento, il quadro della sera precedente si era aperto facendo uscire Harry.
    «Ma che hai fatto, ti sei perso?» gli chiese mentre lui si avvicinava. Non gli rispose.
    «Mezz’ora Harry, persa, buttata per prendere un quaderno! Ti ho cercato da per tutto, stavo venendo a cercarti addirittura qui!» lo rimproverò.
    Harry continuava ad avanzare, ma non rispondeva, il che non era tanto normale. Sembrava tanto mogio.
    Quando fu abbastanza vicino si accorse del labbro violaceo.
    «Che ti è successo?» chiese rimanendo a bocca aperta.
    Harry la superò e iniziò a scendere senza considerarla.
    Lei lo seguì paziente.
    Raggiunsero l’aula dove avevano iniziato a studiare quel pomeriggio.
    Lui si sedette, aprì il libro “Pozioni che spasso!”, e iniziò a leggere i vari ingredienti di una pozione di livello base.
    Gloria si sedette di fronte a lui senza più chiedere spiegazioni.
    Non voleva insistere, l’importante era che studiava e se, a quanto pareva, gli ci voleva un pugno sul muso, allora ben venga!
    Gli spiegò i vari procedimenti che lui seguì con precisione senza fiatare.
    Per quella pozione ci voleva una mezz’oretta, per le sette meno un quarto avrebbero finito.
    Era arrivato a buon punto, e doveva dire che aveva fatto un buon lavoro, per essere la prima volta che la faceva.
    Lo sapeva, gli bastava solo un po’ di concertazione e il gioco era fatto!
    Ora la pozione doveva riposare per dieci minuti a fuoco lento, poi avrebbe dovuto mescolare nei diversi sensi.
    «Complimenti Harry!» gli disse per rincuorarlo, mettendogli una mano sulla spalla. «Hai visto che, quando vuoi, combini qualcosa di buono?»
    Harry appoggiò indolente il contagocce, appena utilizzato, sul tavolo.
    Si sfilò gli occhiali e si passò due dita sugli occhi terribilmente stanchi.
    Gli bruciavano.
    Non aveva avuto neanche la forza per piangere, per reagire prima.
    Sei tu che te le cerchi, Harry! Si diceva.
    Gli occhi gli pizzicavano ai lati.
    Aveva lavorato bene, Gloria gli aveva fatto i complimenti.
    Eppure…
    Aveva perso.
    Per colpa sua, sempre per colpa sua!
    Era lui che se le creava le situazioni, no?
    Gli mancavano Ginny, Ron…
    Non era colpa di Gloria o di Malfoy.
    Era colpa sua se li aveva persi.
    Come era colpa sua se aveva perso Sirius, se era morto!
    Si passò le mani sugli occhi. Gli bruciavano terribilmente.
    Sentì il volto bagnarsi. Stava piangendo senza volerlo.
    Dei singhiozzi, improvvisi e violenti, lo scossero, come un terremoto dalle profondità del suo cuore, che pulsava senza sosta… purtroppo.
    Avvertì il tocco della mano di Gloria accarezzagli il capo.
    Non sentiva niente, eppure piangeva e il suo respiro era irregolare, come se il corpo fosse staccato dall’anima e decidesse di propria volontà.
    Ancora incredulo, si scoprì il volto, e si osservò le mani bagnate di lacrime.
    Alzò gli occhi ed incontrò quelli di Gloria, in piedi accanto a lui, mite.
    Lei allargò le braccia in segno di accoglienza, e lui la abbracciò di impulso, trovando un riparo.
    Lo ospitò tra le sue braccia stingendolo piano, accarezzandogli docilmente i capelli.
    Pianse. Se si fosse guardato dall’esterno, avrebbe detto senza ritegno.
    A volte arrivavano certe ondate di dolore che non sapeva da dove provenissero. Forse era tutto ciò che aveva accumulato e che adesso usciva prepotente.
    Un pianto convulso.
    Più volte si accorse di conficcarle le unghie nella schiena, o di stringerla con troppa forza.
    Ma ogni volta che alzava il viso verso l’alto, incrociava due occhi bonari e materni.
    Gli mancava terribilmente, avrebbe voluto raggiungerlo!
    Eppure lei continuava a tenerlo tra le braccia, ad accarezzarlo, a coccolarlo come se fosse stato il suo bambino.
    Avrebbe voluto che quelle fossero le braccia di sua madre.
    Chiuse gli occhi ed immaginò di trovarsi veramente tra quelle carezze che gli erano state strappate via.
    Sentì il proprio cuore calmarsi, adeguandosi al suo. I muscoli rilassarsi. I pensieri rarefarsi come fumo in un vento di pace.
    Sarebbe rimasto lì per sempre.
    Le lacrime aveva smesso di scendere da un po’ ormai.
    «Va meglio?» gli chiese gentile accarezzandogli il viso e rivolgendolo verso sé alzandogli il mento con due dita.
    Harry accennò di sì col capo.
    «Mi manca Sirius…» ammise con la voce tremante.
    «Il tuo padrino?»
    Lui fece di sì nuovamente.
    «Credo che dovesti essere felice perché hai avuto la passibilità di averlo. Certo, adesso non c’è più, però… C’è chi non ha avuto neanche questo.» disse abbozzando un sorriso
    «Perché sei sempre così gentile con me?»
    «Perché non dovrei esserlo?» chiese non comprendendo a pieno.
    «Sei così buona. Nessuno lo è…»
    «Neanche io lo sono, e neanche tu!» continuò accarezzandogli la testa. Harry si era appoggiato di nuovo a lei ascoltando il suo respiro e godendosi le carezze.
    «Sai Harry, sarebbe stato bello se fossi finito a serpeverde, ci saremmo potuti conoscere molto tempo prima! Mi chiedo come mai sei finito a grifondoro!»
    Harry ci pensò su. Effettivamente sarebbe stato bello se fossero diventati amici molto prima. Ma poi ripensò a tutte le avventure vissute con Hermione e Ron.
    Ma oramai che importanza aveva. Ron aveva chiuso con lui.
    Aumentò impercettibilmente la stretta sui fianchi di Gloria.
    Ron, tanto testardo da non perdonato mai più.
    Ripensò allo smistamento.
    “Non a Serpeverde, eh? Ne sei proprio così sicuro? Potresti diventare grande, sai: qui, nella tua testa, c'è di tutto, e Serpeverde ti aiuterebbe sulla via della grandezza, su
    questo non c'è dubbio... No? Be', se sei proprio così sicuro...”
    La vocina del vecchio cappello parlante gli tornò in mente.
    Forse si, sarebbe stato bello…
    «Dai, vatti a sciacquare la faccia e magari ti sistemo questo labbro. Poi andiamo a mangiare!»
    Misero tutti i libri a posto e scesero. Preferì usare il bagno di Mirtilla, almeno la era sicuro di incontrare nessuno.

    Quando entrò nella sala grande si sentì morire. Era piena di gente. Il tavolo di grifondoro era pieno di gente.
    Gloria gli stava parlando, ma non la ascoltò più riconobbe due teste rosse sin troppo familiari.
    Si era bloccato in mezzo all’entrata.
    Non aveva nessuna voglia di entrare, ne di sedersi a mangiare.
    Gloria avanzò di qualche passo diretta al tavolo dei grifondoro, come era di turno, ma Harry la afferrò per un braccio facendola indietreggiare.
    «Che c’è?»
    «Non ho fame…» gli disse nella speranza che Gloria approfittasse del momento per andare a studiare qualche altra pozione.
    Le lo scrutò attenta, aveva ancora gli occhi rossi e il viso, anche se tornato come prima era teso e nervoso.
    «Qualunque cosa sia successa, non mi interessa! Devi mangiare, dove vuoi tu, ma stasera mangi. Hai quattro tavoli a disposizione scegli!» disse intuendo quale fosse il disagio del ragazzo.
    «Ma c’è troppa gente!» disse nervoso guardandosi attorno.
    «Ma che sei diventato, agorafobico?»
    «Che sono?» chiese non sapendo se offendersi o meno.
    «Hai paura delle masse?» chiese in modo spiccio lei.
    «No, ma…»
    «Vieni!» gli disse risoluta. Lo afferrò per il braccio e lo trascinò al tavolo di serpeverde, sedendosi negli ultimi posti rimasti liberi, in fondo alla sala.
    Harry cercava di farsi piccolo il più possibile. Non sapeva perché, ma aveva paura che Ron o Ginny lo vedessero. Ma era inutile nascondersi, sicuramente l’avevano visto entrare e sapevano dov’era.
    «Smettila!» lo rimproverò lei riempiendo un piatto con tutto ciò che trovava. Quando fu abbastanza pieno lo mise davanti ad Harry che lo guardò scettico.
    «E questo?»
    «È per te! Devi rimetterti in forze, sei un po’ trasandato, non so se ti sei visto, ma hai una faccia…» «Ma ti ho detto che non ho fame!» gli disse iniziando ad alterarsi.
    «E io ti ho detto che devi mangiare. Hai bisogno di zuccheri per poter lavorare.»
    «Ma perché non pensi per te?» disse sgarbato.
    «Sei sicuro di voler litigare?» lo guardò eloquente.
    Harry si rese conto che stava un po’ troppo dando in escandescenza, ingoiò il rospo, e anche il primo boccone di purè. In effetti non gli sembrava il caso di litigare, proprio con lei poi…
    Mangiò un po’ tutto quello che gli aveva messo nel piatto. Si sentiva un po’ a disagio circondato da serpeverde, le altre volte che aveva mangiato a quel tavolo era quasi sempre vuoto.
    Alzò gli occhi verso il tavolo dei professori. Silente era seduto al centro come consuetudine, mentre la Devis parlava e scherzava praticamente da sola, dato che Piton la ignorava come suo solito.
    Tornò a posare gli occhi su Silente incrociando il suo sguardo. Lo guadava ammirato, alzò leggermente il calice verso di lui in segno di saluto e Harry rispose con un gran sorriso e alzando altrettanto il bicchiere.
    «Harry!» una voce familiare lo fece voltare. Katie Bill, la bionda cacciatrice, neo capitano della squadra di grifondoro, lo guardava un po’ incerta, come se non fosse sicura di parlare con la persona giusta.
    «Ciao!» la saluto felice di vederla.
    «Ciao| è da un po’ che ti cercavo… tutto bene?» chiese più preoccupata che per pura cortesia.
    «Si, certo!»
    «Ehm…» per lei doveva essere una batosta vederlo al tavolo della squadra avversaria. «Volevo dirti che gli allenamenti saranno questo venerdì, ci sarai vero?»
    «Certo!» disse sorridendo tra sé e sé, notando lo strano effetto che faceva sulle persone.
    La guardarono allontanarsi ancora abbastanza confusa che cercava di capacitarsi.
    Ovviamente la pace non poteva durare molto quando c’era di mezzo Malfoy.
    Gloria gli stava parlando di un incantesimo particolarmente interessante che permetteva di confondere l’avversario quanto bastava per metterlo K.O., quando il biondo si avvicinò trascinandosi appresso il suo grande ego.
    «Potter, non è un po’ tardi? È stupido decidere di far parte di noi, adesso!»
    Harry non rispose, preferì guardare il proprio piatto, trovandolo estremamente più interessante.
    «Di certo si rivelerebbe molto più degno di te, Malfoy!»
    «Non ne dubito!» disse allusivo ghignando. «Weston, il professor Piton ti vuole nel suo ufficio dopo cena. Era molto arrabbiato. Dopotutto, come dargli torto… vero Potter?»
    Harry alzò gli occhi su biondo che ghignava come non mai.
    Gloria passò gli occhi dall’uno all’altro, cercando di capire tutte quelle allusioni lasciate a mezz’aria.
    Harry alla fine cedette, abbassò lo sguardo sconfitto.
    Quei bastardi avevano spifferato tutto al professore. Adesso Gloria sarebbe finita nei guai per colpa sua, e avrebbe perso anche lei come aveva già fatto con gli altri.
    Allontanò il piatto amareggiato e si guardò intorno cercando un appiglio che non c’era.
    «Grazie, Malfoy! Non mancherò.» lo liquidò lei in fretta.
    Malfoy, alquanto soddisfatto e realizzato se ne andò senza repliche.
    Gloria guardò intensamente Harry per qualche attimo cercando di capire.
    «Ti sei azzuffato con Malfoy?» chiese infine alludendo al labbro rotto di poco prima.
    Harry scosse il capo. Non riusciva neanche più a guardarla negli occhi. Si era dimenticato di aver spifferato, proprio davanti a quei tre diavoli, che Gloria aveva passato la notte “nel suo letto”.
    «Mi dispiace! Non volevo ma, mi hanno fatto impazzire! Mi è scappato e sicuramente lo hanno detto a Piton…» disse prendendosi di coraggio.
    «Cosa?»
    «Di ieri notte!» disse quasi disperato pronto a qualsiasi reazione. «Loro hanno pensato quello che volevano pensare!»
    «Loro chi?»
    «Malfoy, la Parkinson e Zabini.» disse mettendosi la testa tra le mani.
    «Per colpa di un mio stupido presentimento hai passato la notte fuori dal tuo dormitorio e, per giunta in uno che non era il tuo! Sono un idiota, combino solo guai!»
    Gloria lo guardò rassegnata.
    «Tu hai detto loro, che ieri notte sono stata con te? Non potevi inventarti qualcosa?»
    «Io…» farfugliò imbarazzato.
    «Ci sarà da lavorare con te!» sospirò Gloria.
    «Non preoccuparti, cercherò di risolvere come meglio posso… Il professore non è così stupido da credere ai pettegolezzi della Parkinson! Questa faccia da angioletto che ho deve pur servirmi a qualcosa, no?» disse infine sorridendo risoluta.
    Harry non si convinse, si sentiva in colpa.
    Guardò il tavolo rosso e oro.
    Ginny era seduta tra Ron ed Hermione. Sospirò sconsolato.
    Se solo avesse trovato un modo per farsi ascoltare…
    Guardò di nuovo Gloria sedutagli di fronte.
    «Però Ginny ha un po’ ragione sul suo conto…» disse ripensando alle parole della rossa.
    «Cioè?»
    «Non so… te ne approfitti un po’.» cercò di spiegare lui quella strana percezione.
    «Sono pur sempre di serpeverde, no? Io uso la reputazione che mi sono costruita fino ad ora… tu invece usi il tuo buon nome. Ognuno ha i suoi mezzi per ottenere quello che si vuole!» disse lei con scioltezza bevendo un sorso di succo di zucca.
    «Non è vero, io non approfitto del mio nome!»
    «Sicuro? Neanche involontariamente? Chi, oltre i mangiamorte, non adora o prova un po’ di pena, per il giovane Potter, il bambino sopravvissuto, il prescelto?»
    «Che cosa vorresti dire?» disse Harry che iniziava a trovare la discussione indisponente.
    Gloria lo guadò fredda. Forse si era offesa.
    «Ti viene tanto difficile ammettere che un po’ serpeverde lo sei anche tu?»
    Harry si scurì in volto.
    «Devo lavorarti anche per difesa contro le arti oscure. Sei una mina vagante così combinato!»
    «Perché, che ho?» chiese offeso.
    «Che hai? E me lo chiedi pure? Lo sai tu quello che vai combinando in giro…. Io vado!» disse infine Gloria afferrando la borsa dei libri e lasciandolo solo al tavolo verde e argento.
    Lui si guardò intorno incupito.
    Gli altri ragazzi di serpeverde mangiavano sereni e allegri poco distante da lui.
    Aveva maledettamente ragione. Era una mina vagante!
    Stava male dentro. Lo sentiva, un malessere diffuso che lo schiacciava.
    Quanto desiderava non essere più lui ed essere uno di quei ragazzi spensierati che chiacchieravano proprio a pochi metri da lui.
    Quanto era perfida la sorte!
     
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  9. Luisina
     
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    mamma mia che capitolo! abbastanza struggente certo che tu ci sai fare col dramma, quando il prossimo capitolo?
     
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  10. ioida
     
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    :D lo so, ho perso un pò il controllo della situazione e ci ho preso la mano.
    cmq anche tra poco torno con delle situazioni un pò più leggere.
    il prossimo capitolo a presto.
    si rimetteranno le cose al loro posto.


    ps:non so quanto tiri per la coppia harry/ginny, ma mi serve per un determinato periodo, poi si lasciano.
     
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  11. Luisina
     
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    non vedo l'ora che posti
     
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  12. ioida
     
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    11. Sei vera…

    Il professore la guardava severo da dietro la scrivania del suo studio.
    Era arrabbiato, molto.
    «Lo sai che cosa mi ha riferito la signorina Parkinson?»
    «Sono tutte storie inventate, sono sempre stata un bersaglio divertente per loro!»
    «Non mi interessa se sono storie vere o no! Per me puoi fare quello che vuoi, sempre nei limiti della decenza. Ma non devi assolutamente dare adito a queste chiacchiere, sono pericolose, soprattutto adesso!» il professor Piton sibilava infuriato con gli occhi fuori dalle orbite, fissandola.
    Non capiva la gravità delle conseguenze?
    Quando la Parkinson e Malfoy erano venuti a riferirgli che la Weston passava le notti con Potter quasi si era sentito male.
    Quel buono a nulla, a quanto pareva, lo aveva spiattellato ai quattro venti per vantarsi, inventandosi
    tutto.
    Prese un respiro profondo per calmarsi.
    Almeno era riuscito ad arginare le voci vietando di parlarne ancora e promettendo una punizione esemplare.
    «Se certe voci arrivassero, malauguratamente, all’oscuro signore….» confesso appoggiandosi stancamente allo schienale della sedia, massaggiandosi le tempie.
    «Cosa accadrebbe?» chiese lei repentina in cerca di risposte.
    Lui alzò lo sguardo trafiggendola con gli occhi.
    «Non lo so! Ma è meglio non fare sapere certe cose, ne potrebbe trarre vantaggio. Se venisse a sapere di un rapporto così intimo tra te e quel buono a nulla di Potter, potrebbe usarti da tramite per arrivare a lui!»
    «Almeno si capirebbe il perché della mia esistenza!
    Comunque, non sono così stupida da farmi usare!»
    «A volte ci sono cose di cui non ci accorgiamo!» disse iniziando ad innervosirsi nuovamente.
    «A volte, per accorgerci di certe cose, dobbiamo saperne di più!» fece lei scrutandolo allusiva.
    «Sai già quello che devi sapere! Ne abbiamo già discusso.» la freddò lui.
    «E io dissi la mia allora… sono stata chiara, no?» disse lei nient’affatto intimorita.
    «Fino ad allora io continuerò a fare ciò che ritengo giusto, lei pensi piuttosto a mettere a tacere la Parkinson!»
    Piton si alzò minaccioso puntando le mani sulla scrivania, piegandosi in avanti per avvicinarsi alla ragazzina.
    «Allora, la prossima volta, eviti di infilarsi nel letto di Potter!» le disse velenoso.
    Lei non rispose, volse lo sguardo dall’altra parte della stanza.
    «Devo sollevarla dall’incarico!»
    «Cosa?» chiese tornando a guardarlo scandalizzata. «Non può! Solo per quella stupida ragazzina! Sto facendo studiare Harry dalla mattina alla sera, sta recuperando. Se adesso lo abbandono non supererà mai il suo esame! Lo sa benissimo che ha bisogno di prendere il M.A.G.O. in pozioni!»
    «Me ne occuperò io.»
    «Non dica sciocchezze! Cinque anni con lei e non ha imparato niente, come pensa di aiutarlo in così poco tempo?» disse Gloria altera.
    Piton assottigliò gli occhi neri come la pece, infervorati di ira ed odio.
    «Non si dimentichi signorina che sta parlando con un professore…»
    Gloria si alzò in pieno disaccordo ed astio nei confronti dell’uomo.
    «Finché non verrà fuori tutta la verità, e non mi interessa da quale parte, io continuerò a giocare le mie carte ed a muovere le mie pedine per ottenerla!»
    Piton si sedette sconfitto.
    La ragazza si voltò dirigendosi verso la porta dello studio.
    «Io farò la mia parte, ma metta a tacere la Parkinson…. Buona notte, professore!»
    «La password per la sala comune è serpentese… non l’hanno avvisata, vero?»
    Gloria che aveva la mano sulla maniglia si fermò ad ascoltare.
    «Non si spinga troppo oltre… potrebbe essere pericoloso.»
    Lo guardò un ultima volta e poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.



    Quelli furono i giorni più brutti che avesse mai passato.
    Ron non gli parlava, Ginny non voleva neanche vederlo da lontano.
    Per fortuna c’era Hermione, come sempre.
    Lei era sempre lì, pronta a dividersi per i due amici, sempre disponibile, soprattutto in quel brutto momento.
    Harry le aveva parlato, aveva chiarito tutto.
    Lei aveva capito.
    Lei aveva ascoltato.
    Lei cercava continuamente di aggiustare la situazione che si era venuta a creare.
    Parlava con Ron, con Ginny, ma finiva sempre esasperata e stremata, sconfitta dall’astio dei due Weasley.
    Ron, per nulla intenzionato a perdonare Harry per il suo presunto tradimento; Ginny, non voleva più sentine parlare, per lei chi era amico di Gloria diventava suo nemico.
    Hermione finiva le serate a piangere di nascosto nel bagno.
    Non voleva che finisse tutto. La loro amicizia era l’unica cosa che, in quegli anni, le aveva dato la forza per andare avanti, allontanando la sua insicurezza e la solitudine, ed ora era tutto distrutto.
    Una volta Harry, tornando come sempre a mezza notte, l’aveva trovata rannicchiata sul divano, intenta a fissare il fuoco.
    Quella sera Ron la aveva accusata di essere una traditrice, proprio come Harry.
    Lei gli aveva detto che, la sua, era tutta gelosia nei confronti di Harry.
    “Non si doveva permettere di toccare mia sorella!” le aveva risposto balzano in piedi.
    “Sei uno sciocco Ronald, perché non capisci che tua sorella oramai è grande e se la deve cavare da sola!”.
    Lui la aveva guardata furente e se ne era andato nel suo dormitorio senza più salutarla.
    Quelle parole le suonavano ancora in testa.
    Non c’era niente da fare, sembrava che le cose non sarebbero più tornate come prima. Era rassegnata e frustata.
    Harry si era seduto accanto a lei, e le aveva chiesto col suo solito tono gentile:
    «Tutto bene? Hai un’espressione così triste…»
    Lei aveva alzato le spalle cercando di non abbandonarsi alle lacrime.
    «Tutto bene…. Vai a dormire adesso, sarai stanco, hai studiato tutta la…»
    Ma le parole le si strozzarono in gola, mentre una lacrima le scendeva leggera sulla guancia.
    La asciugò velocemente, sperando che Harry non se ne fosse accorto.
    Lui la abbracciò inavvertitamente.
    «Harry lo so che devi studiare ma…» le lacrime le scesero, e andavano ad asciugarsi sul petto di Harry. «… ci sei mancato, ci manchi. Ron non riusciva ad accettare di doverti dividere con lei, si lamentava sempre che non c’eri mai o che a cena stavi con lei anche al tavolo di serpeverde…. Poi con quello che è successo dopo e Ginny, non vuole più sentire ragioni.»
    «Non ti preoccupare Hermione. Mi dispiace vederti così per colpa mia!»
    Hermione si accucciò di più nel tiepido abbraccio dell’amico e, senza accorgersene, si addormentò.


    Un fascio di luce le colpì il viso.
    Si sentiva tutta indolenzita, aveva la schiena a pezzi.
    Era mattina presto e si trovava nella sala comune ancora immersa nella penombra.
    Si era addormenta sul divano.
    Era ancora tra le braccia di Harry, che dormiva placido con il capo inclinato all’indietro.
    Chissà cosa avrebbe pensato Ron trovandoli così?
    Si sentì arrossire.
    Ma poi cacciò quell’idea.
    Sicuramente l’avrebbe accusata ancora una volta di essere una traditrice.
    Si alzò.
    Quasi gli dispiaceva doverlo svegliare, ma non poteva lasciarlo dormire sul divano.
    Lo scosse un pochettino chiamandolo.
    Lui aprì gli occhi frastornato. Farfugliò qualcosa che non capì bene e, lentamente, gongolando se ne andò nel suo dormitorio.
    Gli faceva una grande tenerezza. Nonostante tutto, continuava ad essere il ragazzo dolce e premuroso che aveva conosciuto.
    Improvvisamente un lampo di genio.
    Il sole filtrò prepotente nella stanza illuminandola.
    Aveva la soluzione in mano. Che stupida era stata!


    Si allacciò il cravattino rosso e oro della divisa.
    Erano quasi tutti pronti.
    Tutti, appunto, tranne uno.
    Harry era buttato sul suo letto come un sacco di patate, in pieno sonno, vestito come lo aveva visto il giorno precedente e con gli occhiali messi storti sul naso.
    Nessuno aveva avuto ancora il coraggio di svegliarlo.
    Dopo che Ron e Harry avevano litigato, chissà per quale motivo, e non si parlavano più, il rosso sembrava essere diventato il capo del dormitorio.
    Ironica gli tornò in mente la canzoncina ideata dai serpeverde:
    “Perché Weasley è il nostro re!”
    Forse per l’imponenza fisica, forse per l’atteggiamento risoluto che dimostrava d’avere con quello sguardo torvo e minaccioso, ma era come se ci fosse stato un tacito consenso.
    Nessuno doveva osare parlare di Harry, parlare ad Harry, avvicinarsi a lui, quando c’era Ron presente.
    Difatti, quella mattina, nessuno ancora aveva avuto l'audacia di svegliare il ragazzo che dormiva trafelato nel letto intatto.
    Il rosso stava seduto sul suo letto ad infilarsi i calzini corrucciato e di malumore più del solito, mentre Dean e Seamus si muovevano incerti e intimoriti sul da farsi.
    Ma non avrebbero fatto niente!
    Neville non sopportava quella tensione e, in tutta sincerità, non aveva alcuna paura di Ron!
    Non poteva non svegliare Harry solo perché il rosso dettava legge.
    Lui era suo amico, e lo sarebbe sempre stato.
    Al diavolo i litigi!
    Lui non era un vigliacco!
    Si alzò dal letto e si avvicinò a quello di Harry, dall’altra parte della stanza.
    Quel poverino aveva già un sacco di problemi, ci mancava soltanto che venisse abbandonato dagli amici.
    Gli faceva quasi pena.
    Sapeva che studiava dalla mattina alla sera per recuperare pozioni, per avere la possibilità, in seguito, di diventare auror.
    Certe volte lo aveva sentito tornare alle due, altre volte, quando andava bene a mezzanotte.
    Quella volta doveva essere tornato così tardi, da non aver avuto neanche la forza di spogliarsi e mettersi sotto le coperte.
    Si chinò su di lui e lo scosse leggermente.
    Dean e Seamus sgranarono gli occhi.
    Passarono lo sguardo dal temerario Neville a Ron, nella speranza che il ragazzo, non stesse per fare ciò per cui, nessuno dei due, aveva avuto il coraggio.
    «Harry! Svegliati, sono le sette e mezza!»
    Harry non si mosse. Ron per un momento parve irrigidirsi, ma poi continuò infilandosi le scarpe.
    Neville lo notò.
    Qualche volta lo aveva sentito lamentarsi sul fatto che Harry passasse un sacco di tempo con Gloria, la ragazza che lo aiutava a recuperare.
    Aveva pensato che avessero litigato per questo.
    Comunque non era d’accordo con Ron. Non riusciva a capire come mai tutto quest’astio nei confronti di lei.
    Lui la conosceva.
    Qualche volta erano stati compagni di banco a pozioni, e lo aveva aiutato spesso.
    Era molto gentile. Si ricordava la priva volta che si erano parlati durante il secondo anno, lo aveva fermato prima che mettesse un occhio di rospo rosso in più nella pozione, nervoso com’era a causa dello sguardo gelido di Piton.
    “Non farlo, farai esplodere la pozione! Ti aiuto se vuoi, ma ignora il professore, non ti farà niente…”
    Era rimasto incantato dal movimento delle sue mani che tagliavano veloci i vari ingredienti.
    Si era preso una cotta per lei allora.
    Amava i suoi modi di fare, la sua gentilezza, i sui movimenti.
    Ma lui era fatto così.
    Per questo si innamorava spesso.
    Adorava le femmine. Adorava tutto di loro e le adorava tutte!
    Belle, brutte, dolci, acide, superbe, rozze, garbate, angeliche, snob. In ognuna di loro trovava sempre qualcosa di insolitamente elevato.
    E se questo non è amore!
    Una volta si sorprese a fissare il magnifico movimento del sottile collo della Parkinson, mentre lo derideva davanti a tutti.
    Non poteva farci niente, le amava tutte!
    Si destò da quei pensieri, e dal viso di una certa lunatica, che gli era comparso nella mente e che lo tormentava da quasi un anno.
    Scosse nuovamente l’amico che questa volta sobbalzò guardandosi stranito attorno.
    «Ciao Harry! Mi dispiace doverti svegliare, ma poi rischi di arrivare tardi!»
    Harry si mise con fatica a sedere sul letto passandosi una mano sul volto stanco.
    «Grazie Neville.» mugugnò.
    «Accidenti Harry, sei uno straccio!»
    «Lo so!» rispose Harry alzandosi.
    Aveva tutta la schiena a pezzi. Si diresse barcollando al bagno, con la sola intenzione di farsi una doccia lunga e rilassante. Gli venne in mente il bagno dei prefetti. Quasi quasi…
    «Che ore sono?» chiese mogio voltandosi prima di entrare nel bagno.
    «Le sette e mezza!» gli rispose pimpante Neville. «Io inizio a scendere. Ci vediamo dopo, ok?»
    «Ok!» disse Harry che si accorse di stare per crollare a terra.
    Non aveva la forza per stare in piedi e per respirare, figuriamoci per arrivare fini al bagno dei prefetti! Pensò Harry aprendo il rubinetto dell’acqua fredda della doccia.
    Almeno si sarebbe dato una bella svegliata! (Anche se gli sapeva tanto di masochista…)



    La grande aula sembrava quasi vuota. Solo pochi studenti avevano deciso di continuare storia della magia, nonostante avessero ottenuto i G.U.F.O..
    Fra i pochi rimasti c’erano Hannah Abbott, Susan Bones, Terry Steeval, altri due ragazzi di corvonero, quell’odiosa oca della Greengrass, Zabini, ed infine la persona di cui aveva bisogno per riportare le cose al loro ordine, la figura mancante: Gloria Weston.
    La voce del professor Rüf era come un tarlo invisibile ed incessante, che a volte sembrava sparire nell’aria uggiosa ma che ,senza accorgertene, ti entrava nel cervello.
    In tutta sincerità, le lezioni del professore, non le aveva mai seguite, nonostante avesse la nomina di secchiona o comunque di quella che segue qualunque cosa che abbia anche un vago sentore di cultura.
    Mancava poco alle dodici, pochi muniti e sarebbe finita quella noia mortale.
    Da li a poco sarebbe riuscita a parlare con Gloria e poi…
    Finalmente!
    Iniziarono ad uscire dall’aula ancora intorpiditi dalle due ore di lezione.
    «Gloria!» la chiamò raggiungendola. La ragazza si fermò.
    «Ciao Hermione!» disse lei carinamente.
    «Devo parlarti!» disse immediata lei. Gloria rimase un attimo interdetta dalla serietà di Hermione, ma poi rispose.
    «Certo! Dimmi pure!»
    Hermione la trascinò in un posto più appartato, lontano da occhi e orecchi indiscrete.
    «Harry ti ha detto quello che è successo l’altro giorno?....»






    Ginny correva a più non posso. Non sapeva se lo avrebbe trovato.
    Neville le aveva detto che quella mattina si era alzato che era uno straccio e che a lezione non si era visto.
    Raggiunse la torre di grifondoro.
    Se quello che “la serpeverde” le aveva detto era vero, se proprio doveva fidarsi per amare e allora si!
    “Sei una stupida! Dici che ti piace tanto e poi non ti fidi di lui!”
    Le parole della Weston le bruciavano ancora.
    Non era vero che non si fidava di lui. Non si fidava di lei!
    Lei era che muoveva i fili, e tutto ciò che toccava lo controllava.
    “Non mi interessa minimamente Harry! Si fa troppi problemi, per lo più delle volte campati in aria, perché io possa sopportarlo a lungo termine!”
    “Se sono finita nel suo letto era perché lui ha insistito e doveva parlarmi di te! Mi ha riempito la testa di Ron, di Ginny, di Ginny e di Ron! È la sorella, lui non vuole!”
    Non sapeva se credere a quelle parole, ma d'altronde…. Se non si buttava, sarebbe rimasta sempre tra il vero e il non vero.
    Se veramente Harry non aveva fatto niente con quella lì…. Certo, le dava un tremendo fastidio l’idea che avessero condiviso lo stesso letto, anche solo per dormire, o che loro rapporto, a quanto pareva, fosse così stretto; però era pronta a sopportare per lui.
    Salì le scale che portavano al dormitorio maschile a quattro a quattro. Era di fronte alla porta.
    Bussò. Nessuno rispose.
    Decise di entrare, forse stava ancora dormendo.
    E infatti, quando fu dentro, lo trovò.
    Sentì avvampare il viso.
    Non aveva mai visto niente di così bello!
    Si avvicinò lentamente e senza fare rumore, per paura di contaminare quello splendido sogno, di spezzare quella incantevole visione.
    Come aveva fatto ad essere tanto stupida?
    Harry era sdraiato sul letto, immerso in un sonno profondo e quieto.
    Aveva addosso solo un asciugamano stretto in vita, che lasciava tutto il corpo nudo, aperto a qualunque fantasia.
    Il torace asciutto si alzava armonico, lento ad ogni respiro.
    I capelli neri scompigliati sulla fronte.
    Sembrava l’immagine della perfezione e della pace.
    Quasi ebbe timore di sedersi accanto a questa figura, che appariva così angelica. Ma non resistette.
    Volle accarezzare i suoi capelli, leggermente, con la mano; e lo fece.
    Volle accarezzare il suo viso, disteso e sereno; e lo fece.
    Toccare le sue labbra appena con la punta delle dita.
    Sfiorarne il petto e l’addome.
    Non resistette.
    Si chinò leggera sulle sue labbra appena schiuse.
    Un unico bacio, dolce, intenso, innocente.
    Quasi non gli sembrò vero.
    Aprì gli occhi su un verde smeraldo limpido. Harry la guardava.
    Lui era convinto ci sognare. Stava ancora dormendo.
    Eppure quando allungò le braccia per accoglierla, la sentì chiaramente tra le sue mani, sul suo petto.
    I sui sensi erano tanto estesi da ingannarlo tra sogno e realtà?
    «Ginny!» sussurrò piano per la paura di risvegliarsi da un momento all’atro da quel magnifico sogno.
    Lei non rispose.
    Ricominciò a baciarlo passandogli le braccia intorno al collo.
    Il letto sotto di Harry era bagnato. Si era coricato senza asciugarsi.
    Lasciò perdere l’imbarazzo per la nudità di Harry.
    Lui rispondeva appassionato, accarezzandole la schiena e giocando con le ciocche rosse dei suoi capelli.
    «Sei vera?!» disse tra la meraviglia e l’incredulità.
    «Certo!» rise felice.
    Finalmente era col suo Harry.




     
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  13. Luisina
     
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    ah finalmente sono tornati insieme

    ma chi è che è innamorato di Gloria? :huh:

    cmq bel capitolo
     
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  14. ioida
     
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    per ora (e credo per un bel pò) nessuno.
    ron non la sopporta
    draco (come tutti i serpeverde) la odia come mezzosangue, babbanofila, stracciona, amica di potter, ecc...
    per harry è un'amica
    forse neville ha provato qualcosa per lei, ma come infondo lo ha provato per ginny o hermione... ma lui le ama tutte:D!
    tassorosso o corvonero, quando si accorgeranno di lei, non avranno la minima intenzione di avvicinarsi....
     
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  15. Luisina
     
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    che vuoldire che tassorosso e corvonero non avranno la minima intenzione di avvicinarsi?
     
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100 replies since 21/7/2008, 16:41   1205 views
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